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Dopo il rifiuto a Nàzaret (Mc 6,1-6a), Gesù ha ripreso ad andare in giro per villaggi, insieme ai suoi discepoli. Sono loro stavolta a essere posti al centro del quadro, perché il tempo lungo della formazione e dell’apprendistato può lasciare spazio ad una prima verifica sul campo: per i dodici, che Gesù in 3,13-14 ha chiamato prima di tutto a “stare con lui”, si apre il secondo tempo del programma formativo, ossia quello di “mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni” (3,15).
Così Gesù, chiamati a sé i dodici, inizia ad inviarli “in missione”, ma non individualmente, né in gruppo grande, bensì “a due a due” (6,7). Quale ragione dietro questa scelta, che certamente non renderà la loro predicazione potente (come potrebbe apparire quella di un gruppo numericamente più consistente) e neanche più capillare (come sarebbe stata se si fossero mossi individualmente)? Nel racconto non è contenuta una spiegazione esplicita, ma piuttosto si passa subito a dettagliare le singolari istruzioni di viaggio impartite dal maestro: prendere solo un bastone, senza pane né sacca né denaro; calzare dei sandali e limitarsi ad una tunica soltanto (v. 8). L’esiguità di questo bagaglio, costituto solo da quanto è indispensabile al cammino, senza sovrappiù, senza orpelli (e senza paracadute, direi), è sconcertante. Ma è un allenamento insuperabile per la capacità di affidamento: tutto il resto i discepoli dovranno trovarlo nella generosità dell’altro che incontreranno, affidandosi con fiducia alla sua accoglienza, ma consapevoli che potranno anche essere respinti (v. 11). Tutto quello che hanno da offrire è la buona notizia di Dio. Sono convinti – loro, per primi – che sia una proposta irrinunciabile? Saranno in grado di mostrarne la feconda bellezza?
Ad ogni modo, se saranno accolti o respinti, mi sembra di poter dire, questo li riguarderà “a due a due”: nell’esperienza del respingimento o dell’accoglienza il compagno di viaggio sarà l’indispensabile, ossia quanto è davvero necessario a superare la frustrazione del fallimento o a contenere l’esaltazione individualistica del successo. Perché due è il numero della relazione, della differenza e dell’alterità, ma anche del bisogno, della reciprocità e della condivisione. Due è garanzia dell’altro/a che ti guarda e ti dice chi sei e come stai agendo, nella relazione umana come in quella di fede.
Ecco la nuova proposta formativa di Gesù per i suoi: un’esperienza da viandanti, mendicanti e poveri, che potranno offrire solo l’invito alla conversione e l’annuncio liberante della prossimità di Dio, reso concreto attraverso la liberazione dai demòni e dalle malattie.
Ci vuole tanta fiducia per credere che quei dodici uomini fallibili e non sempre acuti possano esserne capaci. Ma l’entusiasmo degli inizi è forte; i discepoli partono e fanno ciò che hanno visto fare a lui: invitare a conversione, scacciare demòni, ungere e guarire i malati (vv. 12-13).
È la stagione del successo apostolico, sembrerebbe di poter dire. E riposiamoci anche noi in questa esultante efficacia, prima che il racconto ci riservi nuove battute d’arresto.
Annalisa Guida, SIR