Dio non è uno spettacolo. La sua contemplazione è più segreta, più velata, più sconcertante. Egli viene scoperto fino a un certo livello solo nella fedeltà del moto verso di Lui, in un superamento che stabilisce la pace attraverso gli strappi e che dona la ricchezza con lo scoprimento.
Scritte da un intellettuale ermetico e colto, J. Paliard (Profondeur de l’âme, 1953), queste parole, profonde, forse bisogna rileggerle più volte per percepirne la profonda verità. Risentono, oltre che della formazione neuropsicologica e filosofica dell’autore, soprattutto della sua familiarità con la mistica cattolica. Ed è per questo che possono illuminare la dinamica misteriosa della vocazione. Gli sforzi della introspezione psicologica e degli studi antropologici non riescono a raggiungere la verità profonda della vocazione, che risiede in una dimensione mistica.
Perché la dimensione attiva, concreta, umana della voc-azione è comprensibile solo come conseguenza di quel voc-, di quella voce vicina ed eterna che produce una azione, un effetto storico e visibile nella vita del chiamato. La voc-azione è l’azione di una voce spettacolare ma che non dà spettacolo perché «segreta, velata, sconcertante», perché radicalmente vera. Voce creatrice e seducente come quella che, in principio, creò il cielo e la terra. Voce che plasma nel silenzio dell’intimità personale una terra nuova e un cielo nuovo, una umanità nuova aperta alla contemplazione.
«Dio non è uno spettacolo», ma è un mistero e rende gli uomini non fenomeni da spettacolo, ma esperti del mistero. Il mistero, non misterioso, della vocazione si svela nella scoperta fedele di Colui che chiama. Questa scoperta è condizionata dalla «fedeltà del moto verso di Lui»: più la Sua voce ti fa camminare, ti attira, più lo scopri e, agostinianamente, più lo scopri più aumenta il desiderio di scoprirlo. Chi rallenta questo moto di fedeltà, rallenta l’efficacia della vocazione.
Più sei fedele, più scopri che Dio è fedele. È la Sua fedeltà a rendere fedeli, la Sua infallibile resistenza alle nostre infedeltà, la Sua tenace permanenza di fronte alle nostre assenze.
Questa infinita fedeltà divina è l’unica àncora per una rinnovata fedeltà umana.
In questo turbine si inscrive la vocazione, in modo particolare la vocazione sacerdotale. Chiamato ad abbandonare i riflettori e le spettacolarità, il sacerdote è colui che vive nella verità della sua umanità la superiorità sublime della voce che risuona, come in una cassa armonica, in lui, per lui e da lui. La sua non è una superiorità umana, anzi egli condivide con tutti la difficoltà di essere umani. Forse più di tutti gli altri percepisce, grazie alla sua sensibilità spirituale, sulla propria pelle la vulnerabilità corporale e sensoriale.
Come l’umanità di Cristo è in tutto uguale a quella di tutti gli altri, eccetto il peccato, così l’umanità del sacerdote è in tutto uguale a quella degli altri, compreso il peccato. Sì, il peccato, che commette anche il sacerdote come tutti gli uomini, e che in lui diventa occasione della manifestazione della onnipotenza della grazia di Dio che, sempre sovrabbondante dove abbonda il peccato, travolge come le acque del diluvio ogni cosa e riporta la pace.
Il sacerdote è effettivamente un “operatore di pace”.
Il «superamento che stabilisce la pace» consiste in una autentica contrizione interiore che, ritraendo la presunzione dell’autosufficienza del sé, permette alla grazia di insediarsi e irradiarsi.
Il sacerdote è uomo di pace non per spettacolo, quando fa marce e proclami. Il sacerdote ha il potere di operare la pace più di qualsiasi grande capo di stato, perché ha il potere grazioso di cancellare il peccato, guerra interiore, e rendere il cuore di ogni uomo un arcobaleno di alleanza.
Ecco in che senso, concludendo con le parole di Paliard, «dona la ricchezza con lo scoprimento». Il sacerdote scopre Dio e la sua bellezza, scopre la propria umanità e la sua debolezza, e questo duplice scoprimento gli dà la possibilità di donare la ricchezza, quella vera: egli dona se stesso perché, come in un pane, forse duro ma farcito, gli altri possano scoprire la dolcezza di Dio, la soavità della Sua voce, l’irresistibilità della Sua grazia e, a loro volta, sentirsi chiamati, sentirsi travolti dall’onda della voc-azione.
don Giuseppe Germinario, direttore