Era il 29 marzo del 1959, Solennità di Pasqua, quando il Cardinale di Milano Giovanni Battista Montini, in un Duomo gremito e raccolto in preghiera, si esprimeva con queste parole: Oggi tanto si parla e si fa per dare al mondo un volto “umano”, ma spesso si sottintende un volto privo di anima umana, un volto materializzato dalla fallace speranza di trarre dalla terra quanto basta a fare l’uomo felice e completo; si crede che la soluzione dei problemi economici, l’organizzazione tecnica dell’opera umana, l’esplorazione scientifica della natura, possano liberare e redimere l’uomo, e che lo sforzo umano, da solo, valga a raggiungere, col possesso del mondo sensibile, la sua vera fortuna.
Il futuro Papa e Santo Paolo VI è stato più volte con il suo insegnamento e con i suoi gesti profeta e testimone. La sua figura di Pastore e di Santo si staglia ancora oggi come attuale e provocatoria verso un mondo, e un cristianesimo, ancora bisognoso di santità.
Le parole qui citate ne sono un esempio. Quell’oggi pronunciato sessantacinque anni fa, risulta ancora più attuale in questo momento storico, nel quale sembrano sempre più accentuarsi gli aneliti di un uomo versato più alle cose terrene che alla sua vera crescita sociale e spirituale. L’ansia del materialismo, spogliata anche delle sue implicazioni filosofiche e politiche, si è ridotta a freddo ma incombente imperativo quotidiano, capace di sottrarre all’uomo del terzo millennio forze di cambiamento e prospettive di futuro, slanci artistici e aneliti profetici.
E purtroppo, denunciava sin da allora il Card. Montini, anche nella mentalità di molti cristiani, occupati a dare alle cose temporali una migliore disposizione, si va insinuando l’opinione che cotesto sia, infine, il massimo e fors’anche il solo dovere effettivo da compiere, e che il cristianesimo debba piuttosto servire a raggiungere i fini propri di questo mondo, piuttosto che questo mondo a servire i fini propri e veri – i soli propri e i soli veri – dell’uomo destinato all’ordine soprannaturale.
l rischio per il cristiano e per l’intera comunità ecclesiale è di lasciarsi trascinare verso il basso da attività e da fini meramente terreni, e per questo disordinati. San Paolo VI non intende dire che ci si deve disinteressare delle cose quotidiane, del mondo, ma che non è il mondo il fine, non è il benessere terreno l’obiettivo, ma è il mezzo, lo strumento, l’occasione per poter guardare, perseguire e raggiungere i veri fini dell’uomo, quelli soprannaturali.
La Redenzione e la Grazia non sono, come continuava il Card. Montini, una sovrastruttura facoltativa e indifferente alla condotta pratica della vita individuale e sociale. Senza la ricerca della Redenzione e della Grazia i profondi bisogni della vita umana non vengono soddisfatti, bensì accresciuti e frustrati. Chi non ricerca le cose del cielo sulla terra sperimenta, di giorno in giorno, l’aumento della tristezza, il senso di insoddisfazione, la sfiducia nel futuro, la consapevolezza del fallimento.
La quotidianità può essere fermentata solo dalla Santità, cioè dalla ricerca di un Oltre e di un Altro che in Cristo Gesù si è rivelato Padre amante disposto ad inviare e sacrificare il Figlio amato per donare all’umanità il Suo Spirito d’Amore. Questa dinamica di Santità è mossa dall’Amore Trinitario che feconda la realtà umana, riempie di senso la ricerca di benessere e felicità, proietta la vita oltre la sofferenza, verso il Paradiso della comunione divina. Questa è la vocazione definitiva di ogni uomo!
In questo numero di Luce e Vita troverete questo intreccio di quotidianità, vocazione e Santità. Nel cuore di questo numero un nuovo “inserto” sulla Santità curato dall’Ufficio diocesano per le Cause dei Santi si inscrive tra gli altri racconti di vita provenienti dalla nostra Chiesa.
Cristo Risorto ci mostra, concludeva il Card. Montini, come insieme non dobbiamo smarire il concetto della sofferenza feconda, dell’espiazione della colpa, della liberazione dalle speranze puramente terrene, e come dobbiamo e possiamo, dietro i suoi esempi e con l’aiuto della sua grazia, portare in questa vita la sua e nostra croce per meritare, qui, la promessa ed il preludio dell’altra vita, a cui la sua risurrezione ci ha aperto la strada faticosa e felice.
don Giuseppe Germinario, direttore