Immaginate un braccio di ferro tra la cultura e il capitale, magari nelle vesti di un fine pensatore e un abile investitore. Chi vincerebbe? A voi la risposta, dopo aver sfogliato le pagine del Luce e Vita di questa settimana.
Dalla quasi ignorata situazione dell’Afganistan alla dibattutissima questione della maternità surrogata, dall’entusiasmo ancora vivo nei giovani partecipanti alla GMG di Lisbona alla giovinezza d’animo di una anziana testimone e appassionata studiosa della nostra storia recente. Non da ultimo un interessante approfondimento sui limiti morali del mercato. Sono solo alcune delle cose che troverete leggendo queste pagine, ma dalle quali vi potrete rendere conto di come cultura e capitale sono due ingredienti che si mixano nelle vicende di ogni giorno, a volte in maniera non equilibrata.
E così il capitale sembra vincere sulla cultura, perché rende utile solo quella cultura che produce capitale. Il resto non serve, il resto è tempo perso. E il tempo, lo diciamo spesso, è denaro. Il denaro, però, crea conflittualità, rivalsa, bramosia insaziabile; il benessere che promette diventa un inganno perché, agevolando l’io e chiudendolo nell’interesse esclusivo della propria realizzazione, lo rende dimentico dell’altro, oscura l’originaria dignità del noi, obnubila la profonda verità della relazione sporcandola di interesse. Se il capitale vince, l’uomo perde.
Ecco perché ha bisogno della cultura: per tenere testa al capitale. Questo, infatti, seppur nella sua etimologia porta traccia del caput, della testa, ha finito per far perdere la testa alla società, divenuta avida e conflittuale. E povera. La cultura, invece, porta nel suo etimo il colere, il coltivare interiorità ed esteriorità, conoscenza e culto. Né l’uno, il capitale, né l’altra, la cultura, possono soddisfare la partita dell’umanità, ma possono essere entrambe strumento prezioso per la sfida della civiltà. Ad una condizione, però, che si interrompa il braccio di ferro tra cultura e capitale e la società, come quella vedova di cui parla il Vangelo (Mc. 12,41-44), trovi il coraggio di fidarsi di Dio, sua vera ricchezza e sua unica verità.
Perché i bancomat della terra non ci permettono conquistare il cielo, ma il bancomat del cielo, quello dove si preleva e si versa solo la Carità, è l’unico che ci può permettere di trasformare la terra.
don Giuseppe Germinario, direttore