Non ci ricordiamo facilmente quando, ma sappiamo oramai che questo è il periodo in cui si “cambia l’orario”. Lancette avanti, lancette indietro, passiamo da ora solare a ora legale e viceversa con tanta facilità. Anzi, è possibile che non ce ne accorgiamo nemmeno, visto che i nostri cellulari lo fanno automaticamente nella notte, oramai.
Questo automatismo potrebbe averci illuso che le cose possano cambiare da sole e averci deresponsabilizzato nei confronti del tempo. Perché mentre si parla di grandi cambiamenti e trasformazioni, ciò che sembra non cambiare mai è proprio il tempo. Cosa vuol dire? Vuol dire che nell’epoca in cui si inneggia ai cambiamenti sembra più difficile cambiare, nel secolo in cui tutti chiedono progressi, pochi sono disposti a fare il primo passo.
Pensavamo di esserci lasciati alle spalle un secolo di guerre, il cosiddetto secolo breve, pensavamo di esserci lasciati alle spalle difficoltà economiche e crisi climatiche, pensavamo di esserci lasciati alle spalle discriminazioni e schiavitù. Quasi che, cambiando il secolo, le cose sarebbero dovute automaticamente cambiare. E anche come Chiesa, pensavamo di esserci lasciati alle spalle solipsismi e protagonismi, mondanità e distrazioni. Quasi che, suonando una chitarra o mettendo i pantaloncini colorati, le cose sarebbero potute automaticamente cambiare. Il tempo, invece, sembra non voler cambiare, le persone sembrano non voler cambiare.
Come le stagioni, che per abbandonarci devono arrivare a scontrarsi tra loro e dar luogo ai grandi disastri metereologici, tanto che anche in questo ottobre un caldo anomalo ha ceduto il posto con difficoltà solo a brevi e violente perturbazioni fredde. Così le persone, dai potenti ai comuni cittadini, diventano protagonisti di grandi scontri per non aver saputo lavorare a un lento ma necessario cambiamento.
Non videmus manticae quod in tergo est, così Catullo si esprimeva nel Carme 22 per dire come non siamo capaci di vedere i nostri errori e i nostri difetti, perché li portiamo dietro le spalle nella nostra bisaccia. Per questo gli altri notano prima di noi i nostri difetti, come noi quelli degli altri. Per cambiare abbiamo bisogno degli altri e gli altri di noi. O si resta con la bisaccia dei propri errori, e allora il tempo non cambia, o ci si guarisce a vicenda, e allora le lancette dell’umanità ricominciano a camminare.
don Giuseppe Germinario, direttore