Porte di Speranza

Dove due o tre sono riuniti nel mio nome… così ebbe a dire il Signore. Noi eravamo molti, molti di più, riuniti nel Suo nome la scorsa Domenica sera. E Lui, il Signore, era in mezzo a noi. Non si tratta di voler raccontare un evento, ma di voler raccontare un vangelo che si è dispiegato tra gioie e ferite di un territorio.

È nato tutto così, dal semplice desiderio di fare qualcosa insieme. Insieme tra parrocchie, ma anche insieme a chi non sempre è nelle nostre parrocchie, insieme al territorio, insieme al quartiere, insieme a chi resta a casa, insieme e basta.

Solo la comunione può fare miracoli, solo la comunione realizza il Vangelo. E il primo atto di questa comunione è stato sedersi attorno ad un tavolo, rappresentanti di tre parrocchie del centro di Molfetta, laici e presbiteri, insieme al comitato di quartiere. Pensare, scegliere, proporre, progettare. Senza ambizioni, senza competizioni, senza badare a chi ha più locali o più associazioni, più iscritti o più attività. Senza distinguere chi viene in parrocchia e chi no, chi è sempre presente e chi latita, chi crede e chi non crede.

Abbiamo scelto di far camminare Cristo nelle strade del nostro territorio, perché Cristo è di tutti, è morto per tutti, nella sua vita ha incontrato tutti, ama sempre tutti. Abbiamo scelto di fare una Via Crucis semplice ma concreta. Alternando le porte delle nostre tre chiese ad altrettanti portoni delle case dei nostri cittadini, abbiamo fatto intrecciare l’odore dell’incenso, che ancora avvolgeva il maestoso crocifisso ligneo, con l’odore del pranzo domenicale, l’odore del sacro con l’odore del feriale, l’odore della divinità di Cristo con l’odore della sua vera umanità. Intrecciare, unire, collegare. Come avevamo fatto attorno a quel tavolo, così abbiamo fatto in giro per le nostre strade: la strada è diventata la casa di tutti, la parrocchia di tutti. Siamo riusciti a sentirci un solo corpo in Cristo.

È il balsamo della comunione che, scorrendo dalla barba di Aronne, sana le ferite e purifica le infezioni. Insieme siamo riusciti ad attraversare le ferite e le ferritoie del nostro quartiere. Perché la comunione non può che desiderare altra comunione. Tra le stradine buie e dimenticate, nelle piazzette dove qualcuno evita di passare, negli angoli dove si sta bene attenti, lì abbiamo voluto portare Gesù. Perché Egli stesso ha scelto non le sfilate nelle vie principali, ma le anguste periferie esistenziali. E le nostre strade sono diventate piccola Gerusalemme.

Le difficoltà di una città, di un quartiere si vincono non solo inasprendo i controlli, indurendo le pene. Certo, c’è chi ha il compito precipuo di garantire la giustizia e la legalità, e deve farlo. A tutti gli altri, invece, a tutti gli uomini e donne di buona volontà è dato il compito di seminare, di investire in crescita e positività, di abitare, di uscire, di osare, di dare fiducia. Nel nostro territorio c’è bisogno di questo: di movimento, di attività, di investimento culturale e sociale, di crederci. Ci abbiamo provato, ed è stato davvero bello.

Qualcuno ha ricordato il brivido dei tempi di don Tonino. Qualcun’altro si è domandato se il vescovo venerabile avrebbe preferito vedere i fedeli della sua chiesa più che in una sala convegni a parlare di lui, sulla ringhiera di un portone a portare, come ha fatto lui, un sorriso di speranza.

Abbiamo provato ad aprire delle “Porte di Speranza”, a fare del motto giubilare affidatoci da Papa Francesco un impegno concreto, ad uscire dagli schemi di una ritualità preconfezionata, coniugando le antiche note della tradizione quaresimale all’anelito di futuro dell’aspirazione pasquale dell’umanità.
Camminando si apre il cammino, è il titolo di un libro di Arturo Paoli, citato dal predicatore. Continuiamo a camminare, osando la fraternità parrocchiale, rischiando il rinnovamento degli schemi, desiderando una nuova evangelizzazione. Solo camminando con Cristo sulle strade sterrate della storia può aprirsi per noi il cammino verso la Pasqua.

don Giuseppe Germinario, direttore