«Fino a quando stiamo su questa terra, fratelli, facciamo penitenza, poiché siamo come argilla nelle mani del vasaio». Così si esprime un antico scritto cristiano del II secolo, erroneamente attribuito a San Clemente Romano. In realtà si tratta, probabilmente, delle più antica omelia giunta fino a noi. È uno straordinario testo che esorta a seguire Cristo e i suoi insegnamenti.
Questa esortazione continua ad esercitare il suo impatto ancora oggi su noi che, dopo due millenni, abbiamo bisogno di penitenza e conversione. Infatti, la vita cristiana non è semplice adesione teorica a principi astratti, la sequela di Cristo non è mera riflessione su concetti ideali. Essere cristiani significa essere continuamente e concretamente pronti alla penitenza, cioè all’umile riconoscimento e riparazione dei propri errori, e alla conversione, cioè al deciso atteggiamento di ritorno costante a Cristo.
Per dire la concretezza della vita cristiana l’ignoto autore di questa omelia richiama l’immagine dell’argilla, che si ritrova già utilizzata nella stessa Sacra Scrittura, in particolare dal profeta Geremia (18,1-6). L’argilla, però, dice anche il nostro essere stati plasmati e il nostro essere plasmabili, come avvenne nella creazione, quando Dio ci volle fare come cosa «molto buona» (Gen. 1,31). Non va omesso che l’argilla porta con sé anche la possibilità della fragilità e della deformazione.
Concretezza, plasmabilità e fragilità sono le caratteristiche che, come dell’argilla, possiamo dire anche della nostra umanità. È proprio per questo che lo Pseudo-Clemente esorta i suoi fedeli ed esorta noi a far tesoro del tempo datoci su questa terra, in questa vita, per fare penitenza, cioè per lasciarci plasmare con amore dalle mani creatrici e ricreatrici del Padre. Infatti, l’antica omelia continua dicendo: «allorché ad un vasaio s’infrange o si deforma il vaso che sta plasmando, egli vi pone nuovamente mano, ma soltanto se non l’abbia già messo nel forno, giacché, altrimenti, non può più farci nulla».
L’esortazione è a non sprecare il tempo di questa vita per pentirsi dei peccati e convertirsi, ricercando cioè autenticamente la salvezza della propria anima. Messi da parte gli interessi terreni, il cristiano comprende che vale la pena industriarsi solo per i beni eterni, i beni dell’anima, perché «quando avremo lasciato questo mondo, infatti, – continua il testo – non potremo più fare penitenza e confessare i nostri peccati».
In pratica tutto questo cosa significa? In cosa consiste questa scelta di conversione?
Anzitutto, afferma l’ignoto omileta, è necessario uniformarsi alla volontà del Padre, come Cristo ha fatto in tutta la sua vita, in particolare nel deserto e sulla Croce. Dall’io a Dio, dalla mia volontà e dai miei desideri alla volontà di Colui che ci ama, di Colui che conosce e vuole la nostra vera felicità. Questo è amare Dio: smettere di fare “secondo me” e cercare solo la Sua volontà.
Questo proposito d’amore dell’anima non si realizza senza la carne, senza la quotidianità. Ecco il secondo atteggiamento che realizza la conversione. Come Cristo ha vissuto nella carne, sul suo corpo l’amore alla volontà di Dio, così anche noi siamo chiamati a riconoscere il nostro corpo tempio della volontà di Dio e a vivere nelle cose di ogni giorno la nostra vocazione battesimale.
L’amore alla volontà di Dio e le scelte concrete della nostra vita vanno, infine, accompagnate da un terzo necessario atteggiamento: «Amiamoci, allora, scambievolmente, onde poter giungere tutti al Regno di Dio». Questa terza esortazione della omelia ci ricorda che mai la vita cristiana può prescindere dall’amore fraterno che consiste nel desiderio di condividere la comunione finale con Dio. Amarsi non è solo aiutarsi, ma prendersi per mano nel cammino verso l’eternità. Amarsi è cercare di raggiungere insieme il Paradiso, la Pasqua della Chiesa.
Iniziamo questo cammino di penitenza e conversione che è la Quaresima per lasciarci plasmare nuovamente a immagine dell’Amore.
don Giuseppe Germinario, direttore