Anche l’astrofisica atea Margherita Hack un giorno ha imparato ad andare in bicicletta. Lo racconta lei stessa, in un libro autobiografico che ha voluto intitolare proprio La mia vita in bicicletta.
Ma – vi starete domandando – cosa c’entra? Ecco la risposta: Andare in bicicletta è una grande esperienza di fede.
Anzitutto nel fatto che ci siano delle leggi della fisica le quali, anche se del tutto ignorate da chi sta pedalando, garantiscono equilibrio e movimento, funzionano che tu le conosca o no, ci creda o no.
Il 99% di coloro che pedalano, soprattutto quando si è bambini, non conoscono le leggi della fisica che garantiscono quella esperienza. Eppure, le stanno sperimentando realmente. Essi compiono un vero atto di fede, un atto di fede inconsapevole ma necessario per andare sulle due ruote. L’anima dell’uomo è naturalmente predisposta all’atto di fede. E, tra tanti atti di fede che ciascuno compie quotidianamente, si apre lo spazio all’atto di fede in Dio, mistero inconoscibile ma vivibile, forza necessaria per procedere.
Non tutti studiano la fisica, ma tutti sono inevitabilmente soggetti alle sue leggi; non tutti comprendono Dio, ma tutti sono inevitabilmente soggetti al suo amore. Che tu lo conosca o no, ci creda o no, il mondo si regge sulla certezza costante dell’amore del Padre.
Ma, quasi tutti per imparare ad andare in bici abbiamo anche dovuto fidarci di chi, quelle prime volte, ci ha tenuto il sellino, ci ha garantito di non cadere, ci ha incoraggiato e insegnato qualche segreto (ne parla anche la Hack, sic!).
L’atto di fede ha sempre bisogno di qualcuno, di un compagno di viaggio, più grande, più esperto, che è caduto prima di te e sa incoraggiarti ad andare anche di fronte al rischio di cadere. E, soprattutto, ti garantisce che, se cadi, è pronto a soccorrerti, a rialzarti. Un genitore, un fratello, un amico o chiunque altro ha avuto un ruolo insostituibile in quel momento. Ed è questo il ruolo della comunità credente, della Chiesa, che ha il compito di insegnare a fidarsi, di Dio anzitutto e del suo amore, di essere pronta a rialzare quando qualcuno cade, a incoraggiare nel cammino, a trasmettere la fiducia in Cristo, vero compagno di strada e salvatore nei pericoli.
Non da ultimo, ma insieme a quanto detto, non deve mancare fiducia in se stessi, voglia di farcela, capacità di correre rischi. Andare in bicicletta è sfidarsi, darsi fiducia contro ogni altra cosa. Per credere in se stessi non è sufficiente una seduta dallo psicologo o una terapia di autostima. Per credere in se stessi bisogna sapere che anche la caduta può diventare una occasione, l’occasione di imparare che hai bisogno di aiuto per rialzarti e non sei autosufficiente, l’occasione di imparare che puoi sempre ricominciare senza vergognarti, l’occasione di imparare ad ammettere la sconfitta contro ogni eccesso di orgoglio personale. Imparare a credere in se stessi è l’opera che compie lo Spirito santo, illuminando e infiammando di amore chi lo invoca.
Ah, dimenticavo. Forse andare in bici richiede anche di credere nella strada, che è la storia. Chi non ha voglia di fare strada non andrà mai da nessuna parte. In salita o in discesa, panoramica o angusta, la strada è la vita, nella quale non devi mai smettere di credere. E, come per la bicicletta, è necessario che chi impara sappia poi andare da solo e mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti, così per la fede ha svolto il suo compito chi ha insegnato agli altri a credere, a fidarsi, e a vivere ogni giorno tra equilibrio e movimento, progressi e voglia di pedalare, senza lasciarsi a terra se caduti.
Noi, uomini e donne di Chiesa, abbiamo questo compito: insegnare ad andare in bicicletta, cioè insegnare a credere! Credere in Dio, Padre Figlio e Spirito santo. E poi, credere nella relazione con gli altri, credere in se stessi, credere nella misericordia che solleva sempre, credere nella vita.
don Giuseppe Germinario, direttore
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