San Fulgenzio di Ruspe è stato un monaco, chierico e poi Vescovo vissuto nel VI secolo nella provincia romana della Bizacena, un territorio della attuale Tunisia. La sua vita è stata caratterizzata da viaggi in Sicilia e a Roma per conoscere e approfondire i temi ascetici e teologici, ma anche segnata dall’esilio in Sardegna a causa del re vandalo Trasamondo. I Vandali, infatti, erano ariani e in quel periodo perseguitarono fortemente i cattolici nell’Africa del Nord.
San Fulgenzio, uomo mite e di grande cultura, si era formato sulla scia degli scritti di Sant’Agostino e aveva scelto la vita monastica sia quando da giovane fece l’esperienza eremitica, sia quando da Vescovo formò sacerdoti e monaci alla vita comunitaria. Questo suo stile lo rese anche per i laici un grande punto di riferimento spirituale, oltre che un valido e fermo teologo della retta fede.
Una delle sue opere, intitolata La regola della fede, può essere di grande aiuto ancora per noi che, anche dopo molti secoli, sentiamo il bisogno di crescere e camminare nella sequela di Cristo.
Egli scrive: «Solo in questa vita Dio ha concesso agli uomini il tempo per acquistare la vita eterna e in esso ha voluto che la penitenza sia fruttuosa». Il valore del tempo è, secondo San Fulgenzio, duplice: anzitutto bisogna riconoscere che il tempo è «concesso», offerto, dato, donato da Dio agli uomini.
Spesso lo dimentichiamo, ma il tempo è una delle cose non in nostro possesso. Possiamo gestirlo, ma sempre come qualcosa che ci è dato e non sappiamo mai in quale misura. Non dobbiamo mai sentirci padroni del nostro tempo, non dobbiamo né affogarlo di impegni ma nemmeno sprecarlo. Proprio perché è un dono, limitato, ogni giorno dobbiamo riconoscerne il valore e, soprattutto, rendere grazie a chi ce lo ha donato: Dio. Il tempo è uno degli elementi che ci fa essere certi che non veniamo da noi stessi, che siamo frutto di un dono d’amore.
Il nostro tempo è limitato agli anni della nostra vita. Ma per cosa ci è dato il tempo? Per acquistare la vita eterna, ci ricorda ancora il Santo di Ruspe. Ci mette tristezza umanamene pensare che il nostro tempo finirà. Ma a questa considerazione umana si accompagna il dato della fede, che ci dice il nostro essere stati creati per la vita eterna. Il tempo allora è solo un laboratorio nel quale siamo chiamati a tessere la nostra vita nell’eternità. Un oggetto non resta per sempre nel laboratorio, ma una volta realizzato lascia il laboratorio e viene messo in uso. Così anche noi, non restiamo per sempre nel tempo, ma una volta forgiati veniamo messi per sempre nell’amore divino del paradiso.
E come si forgia l’eternità? Con la penitenza fruttuosa. Attenzione, non la penitenza fine a se stessa, ma fruttuosa.
Cosa significhi lo spiega lo stesso San Fulgenzio dicendo che la penitenza «è fruttuosa quaggiù, precisamente perché qui l’uomo può spogliarsi della propria malizia e vivere bene, può mutare la propria volontà iniqua, può mutare le opere e i meriti, e compiere nel timor di Dio ciò che a Dio piace».
Il frutto è l’esito della trasformazione del fiore. Così la nostra vita terrena diventa fruttuosa con una trasformazione dal fiore della esteriorità e della visibilità al frutto della carità e della volontà di Dio.
La penitenza, quindi, è un trasformarsi continuamente e passare dall’interesse per le cose esteriori all’impegno per i beni interiori. San Fulgenzio ne parla non da teorico, ma da uomo che ha vissuto ricercando continuamente, personalmente e comunitariamente, la crescita spirituale.
Anche noi non dobbiamo sottovalutare l’importanza del tempo dedicato alla penitenza, alla fruttificazione di atteggiamenti nuovi, alla conversione del cuore. Nel cuore trovano radice le buone opere. Per questo lavorare l’interiorità non significa smaterializzare la fede, ma dare radice profondamente cristiana ad atteggiamenti di carità e fraternità.
Non perdiamo tempo, dono prezioso per costruire con la penitenza la gioia dell’eternità!
don Giuseppe Germinario, direttore