Guerra in Ucraina: Bertolotti (Start InSight), “il confronto è tra Usa e Cina”

Un anno fa l’aggressione russa dell’Ucraina. Dopo 77 anni di pace, il 24 febbraio 2022, l’Europa si ritrova a vivere sul proprio suolo una guerra. In questo anno il mondo ha assistito ad una nuova corsa al riarmo, alla caduta del concetto di neutralità di alcuni Paesi e al ritorno della minaccia nucleare. A che punto è, e soprattutto, che mondo ci sta consegnando questo conflitto? Lo abbiamo chiesto a Claudio Bertolotti, analista strategico, direttore esecutivo di Start InSight (www.startinsight.eu) ed esperto dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale).

Claudio Bertolotti (Foto: Sir)

“La guerra russo-ucraina – esordisce l’esperto – ha archiviato il momento storico del secondo dopo-guerra, cancellando anche quel principio di deterrenza che prevedeva, nel confronto tra grandi potenze, una serie di misure per dissuadere il nemico dall’uso dell’arma nucleare. Ora nella percezione collettiva sembra che l’uso dell’arma nucleare – solo teorizzato e comunque difficile da realizzare – sia stato quasi digerito dalle opinioni pubbliche. Per me è molto preoccupante. I mutamenti prodotti da questa guerra stanno spingendo molti Paesi, quelli scandinavi in particolare, a cambiare posizione politica e visione geostrategica nei rapporti con la Russia e l’Occidente. La stessa Nato – aggiunge Bertolotti – agisce in modo coeso nei confronti della Russia che si muove come potenziale nemico. Siamo ancora lontani dal definire il ruolo ‘amico-nemico’ ma l’Alleanza atlantica ha ripreso un po’ quel ruolo che nel corso degli ultimi 20 anni era venuto meno”.

Stiamo andando verso una nuova Guerra Fredda?
Credo sia una lettura corretta: di fatto si sta creando una nuova polarizzazione. Da un lato gli Stati Uniti e i suoi alleati e dall’altro la Russia – in una posizione molto debole – e la Cina. La Russia in questo momento è in cima alle preoccupazioni delle Cancellerie occidentali ma l’attore primario è la Cina. Il confronto non è tra Russia e Stati Uniti o tra Russia e Nato, ma tra Usa e Cina. Credo si debba guardare alla guerra in Ucraina in prospettiva cercando di trovare alcune dinamiche comuni in quello che potrebbe essere il dossier Taiwan nel prossimo futuro.

Quindi evitare che Taiwan diventi la prossima Ucraina?
Non è una novità che gli Stati Uniti abbiano focalizzato la loro attenzione strategica nell’area del Pacifico. Il perno della strategia statunitense, sin dal 2012 con il presidente Obama, si è spostato dal Medio Oriente all’area indo-pacifica. Quel confronto oggi vede il presidente Biden a fianco di quello ucraino Zelensky contro la Russia, e la Cina a sostegno – anche se con qualche preoccupazione – di Putin che progressivamente si sta indebolendo sia a livello economico che finanziario. Nel futuro questo indebolimento renderà la Russia quasi dipendente dalle grandi decisioni della Cina in termini di relazioni internazionali. Il parallelismo Ucraina-Taiwan è immediato e coerente: evitare che Taiwan diventi una nuova Ucraina.

Sul piano militare qual è la situazione dopo un anno di combattimenti? Sembrava dovesse essere una guerra lampo per la Russia invece sta diventando una guerra di logoramento…
Negli ultimi sei mesi non è cambiato sostanzialmente nulla. Per i russi doveva essere una operazione militare speciale di breve durata, invece è fallita nei suoi obiettivi massimi e si è impantanata nel fango ucraino diventando una guerra di logoramento. In una guerra di logoramento vince chi è in grado di mettere sul campo maggiore quantità o una qualità che possa compensare la quantità. Nel caso specifico la Russia punta molto sulla quantità perché dispone di moltissimi equipaggiamenti militari ed una capacità di gestione di una guerra ad alta intensità per almeno un anno. Con l’Ucraina è una guerra di media intensità per cui i russi hanno potenzialmente ricambi per un periodo maggiore. È di questi giorni la notizia che la Russia non ha mai avuto problemi di rifornimento delle componenti elettroniche più pregiate perché sarebbero state fornite da Paesi Terzi, che non hanno aderito alle sanzioni internazionali imposte alla Russia. In primis la Cina.

Ma le sanzioni occidentali hanno effettivamente indebolito la Russia?
Mosca è stata isolata dall’Occidente ma vanta alleati preoccupati perché hanno subito ripercussioni commerciali ed economiche, come la Cina. Le sanzioni hanno indebolito la Russia dal punto di vista economico in modo importante ma, come detto, ciò che serve alla Russia arriva dalla Cina e da altri Paesi anche per tramite cinese. Quando non ha potuto vendere all’Europa, la Russia ha venduto alla Cina anche se a prezzi inferiori. Questo sostegno le permetterà di continuare lo sforzo bellico. La Russia è abituata a fare guerre di lungo respiro, pensiamo a quella in Cecenia, durata 10 anni.

La Russia è dunque in vantaggio?
Sì. Ma il problema si sposta sul piano tattico dove il fronte è sostanzialmente rimasto alterato. Abbiamo assistito a dei contrattacchi ucraini che hanno portato alla liberazione di zone del fronte dando, però, la possibilità ai russi di recuperare parte delle truppe per concentrarle sull’obiettivo minimo, la conquista del Donbass. Penso che il fronte difficilmente cambierà: i russi potrebbero prendere Bakhmut anche perché l’Ucraina non può permettersi una resistenza ad oltranza. Per la Russia sarebbe un successo da rivendere a livello di propaganda all’opinione pubblica interna. Ma resterebbe una conquista limitata.

Una guerra di logoramento senza nessun vero vincitore: è forse arrivato il tempo di negoziati per verificare la possibilità di un accordo di pace, di un cessate-il-fuoco, di un armistizio?
Io credo che Usa e Cina potrebbero insistere per l’avvio di accordi negoziali che sarebbero vantaggiosi per la Russia che ha dichiarato il Donbass parte del proprio territorio nazionale. Putin non accetterà mai di fare un passo indietro sulle aree liberate – secondo il suo punto di vista – e occupate – secondo gli ucraini. Credo che l’Ucraina possa essere spinta ad accettare una rinuncia territoriale attraverso varie formule, dalla rinuncia totale a quella dell’istituzione di province autonome. Sarebbero soluzioni comunque svantaggiose per l’Ucraina.

Un preludio per una prosecuzione della guerra, una ipotetica terza guerra russo-ucraina…
Sarebbe lo stesso scenario già visto nel 2014 con gli accordi di Minsk che congelarono l’occupazione illegittima della Crimea da parte della Russia, riconoscendole – di fatto – una forma di presenza su quei territori. Dal momento che la Russia vedrebbe queste concessioni come conquiste, il rischio è vedere Putin considerare quegli stessi territori come base di partenza per una successiva occupazione.

La soluzione diplomatica del conflitto resta quella auspicata da tutti. Ciò equivale a dire sedersi intorno a un tavolo, Russia e Ucraina, con dei mediatori. Chi potrebbe ricoprire oggi questo ruolo? Erdogan, la Cina, Israele, Papa Francesco?
La Cina potrebbe essere il mediatore per eccellenza dal punto di vista pragmatico perché ha la capacità di influenzare le decisioni russe anche in termini di supporto indiretto alla guerra stessa. In questo caso sarà necessario capire quanto gli Usa saranno disposti a concedere alla Cina. La Turchia di Erdogan è in buoni rapporti economici e commerciali, con i due belligeranti, Russia e Ucraina. Ma mentre con l’Ucraina non ha rilevanti temi condivisi, con la Russia Erdogan ha questioni aperte in Libia e in Siria, con momenti di competizione e di visione comune sugli sviluppi futuri. La Turchia, membro della Nato, potrebbe fare da mediatore. Erdogan è l’attore che porterebbe il danno minore all’Occidente. Israele avrebbe potuto ricoprire questo ruolo negoziale ma adesso che ha annunciato il suo sostegno diretto all’Ucraina in termini di collaborazione per il sistema di difesa missilistica antiaereo, credo non possa più farlo perché non recepito come soggetto imparziale. Papa Francesco, infine, potrebbe avere un ruolo simbolico in una fase avanzata del negoziato.

Il conflitto è combattuto anche a livello economico, basti citare la guerra del gas e del grano. L’economista francese Frédéric Bastiat, affermava che dove passano le merci non passano gli eserciti… Ma in questo conflitto non è così.
Il confronto tra Russia e Ucraina rientra nella volontà egemonica della Russia su tutto ciò che è stato il contesto dell’Impero Russo prima e dell’Unione Sovietica dopo. L’ambizione russa, e non mi riferisco solo a Putin, è riportare la Russia ai fasti di un tempo che furono spesso idealizzati e non reali. In un mondo globalizzato questa guerra – pur limitata territorialmente – sta avendo effetti devastanti su moltissime economie come quelle nordafricane, Tunisia, Libia, Algeria, che hanno visto aumentare il prezzo del grano suscitando proteste popolari. Questa guerra provocherà un cambiamento e un ribilanciamento del peso politico dei singoli Paesi e delle alleanze, a partire dalla Russia.

Davanti ad una situazione di stallo – anche diplomatico – come l’attuale quanto ancora l’Occidente dovrà sostenere l’Ucraina?
Sono preoccupato perché smettere di fornire armi all’Ucraina vuole dire negarle la possibilità di difendersi e quindi aprire le porte alla Russia per l’occupazione del Paese. Siamo disposti ad accettare questo, creando un precedente che legittimerebbe qualunque azione militare per l’estensione della sovranità nazionale? Pensiamo sempre a Taiwan. Gli Usa non sono propensi a fermare gli aiuti militari ma al tempo stesso non hanno intenzione di umiliare la Russia con una cocente sconfitta sul campo. Questa vorrebbe dire un possibile cambio di regime russo che non riguarda solo Putin ma gruppi di potere consolidati. In questo contesto paradossalmente Putin ha sposato la causa delle ‘colombe’ e non quella dei ‘falchi’. Un cambio di potere potrebbe portare al governo i cosiddetti falchi con conseguente innesco di altre tensioni, pretese e istanze violente. La scelta razionale degli Usa e dell’Occidente è quella di indebolire progressivamente la Russia sul medio periodo, con una guerra di anni, per spingerla a ridurre la spinta militare e giungere ad un negoziato.

Così concepita crede che l’opinione pubblica occidentale sia d’accordo nel sostenere una guerra di anni?
All’inizio della guerra si sono escluse categoricamente alcune opzioni perché l’opinione pubblica non era favorevole all’intervento diretto o a un supporto diretto della Nato all’Ucraina. Progressivamente abbiamo visto che gli aiuti militari sono passati dalle mitragliatrici e dai kit di pronto soccorso ai carri armati ai sistemi missilistici a medio raggio. L’impressione è che l’opinione pubblica internazionale si sia in qualche modo assuefatta alla guerra.

Daniele Rocchi, Sir

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