di Luigi Sparapano, direttore*
“Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Con tale modo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione”. Parole di Benedetto XVI, nella Giornata delle Comunicazioni sociali 2011, risuonate nel recente incontro nazionale dei direttori dei settimanali diocesani affiliati alla FISC (27 aprile 2023). Incontro molto partecipato perché il tema, L’evoluzione digitale, coinvolge tutti. Non è solo Luce e Vita che si sta interrogando e sta sperimentando questa evoluzione. Sono diverse le testate diocesane chiuse o in crisi o trasformate solo in pubblicazione on line del giornale. Per questo ci si è dati appuntamento e abbiamo partecipato numerosi ad un percorso cominciato in presenza e che prosegue con webinar.
Siamo di fronte a un giornalismo travolto e stravolto da una rivoluzione culturale e antropologica pari a quella della invenzione della stampa, quando non si trattò solo di modificare la tecnica di scrittura della Bibbia, ma portare in giro la cultura, avviare un profondo cambiamento epocale, modificare il modo di costruire il pensiero.
Anche quella digitale è una rivoluzione e forse non ce ne stiamo accorgendo perchè ci sta trasformando dal di dentro. Stiamo cambiando noi. Sta cambiando – anzi è cambiato da un pezzo – il nostro modo di essere e di vivere. Sono ormai evanescenti i confini tra chi scrive da giornalista e chi lo fa da amatore, tra produttore e consumatore, tra contenuti e contenitori. Per cui chi fa il mestiere di giornalismo, e nel nostro caso di informazione diocesana, è chiamato non a semplici aggiornamenti, aggiustamenti o ad imparare nuove tecniche, quanto a capire cosa succede e come succede.
Per questo è molto miope chi ritiene che basti una foto e uno slogan per pretendere di aver capito. Per questo ha ancora senso fare un giornale e non solo annunciare eventi. è ormai tempo perso stare a lamentare e a lacerarsi per una certa “concorrenza” che più che da testate esterne, viene dall’interno della Chiesa stessa. Uffici, parrocchie, associazioni, singoli parroci o responsabili… che comunicano come, quando e dove vogliono. Che bypassano gli organi di informazione diocesani perchè tanto si arriva prima. Per non dire del deprimente vezzo dilagante di comunicare se stessi, di fare dei social una vetrina e non una finestra comunicante con il mondo.
Ne abbiamo già parlato da queste colonne e anche in un incontro di aggiornamento del Clero, lo scorso anno. Il vero problema che dobbiamo porci è la responsabilità di aiutare le persone a costruire un pensiero.
Gli studenti italiani scrivono tanto su computer o smartphone ma arrancano nella comprensione. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), un ragazzo di 15 anni su cinque non sa leggere in maniera fluida un testo e uno su quattro non lo comprende. Il risultato deriva dall’indagine internazionale, il cosiddetto Pisa (Programme for international student assessment) svolto ogni tre anni, che non solo valuta la lettura, ma anche la competenza in matematica e scienze. La cosa riguarda anche gli adulti, sempre più afferrati dalla smania di scrollare sul display dello smartphone, sempre meno abituati a sedersi per leggere e approfondire. Vale anche nella vita della Chiesa: vige la pastorale di whatsapp, moltiplicazione di messaggi e appuntamenti, proliferazione di post, povertà di contenuti.
Da qui la riflessione su quale deve essere la missione per la “stampa” nell’ambito ecclesiale? Quale missione per Luce e Vita? È giornale della comunità o di qualche nostalgico fissato? È un bollettino o è spazio di approfondimento? È un costo economico o un investimento convinto? Vive di gloria propria o ha bisogno di essere disseminato, caldeggiato, offerto, commentato, contestato? Parla alla comunità o nella comunità?
Ci dicevamo a Roma che come giornalisti e come giornale siamo evitabili – e ci evitano -. Ma tocca a noi dare una ragione per usarci, diventare “essenziali” anche se non siamo più “inevitabili”. Occorre che le comunità, i singoli cittadini devono avvertire un interesse alla esistenza e alla sopravvivenza della testata, un interesse contingente perché viene incontro a bisogni specifici, e un interesse di lungo periodo se lascia una traccia nel cuore e nella storia.
L’evoluzione digitale non è questione di tecniche, ma di stile. Il giornale ha senso se nella Chiesa si colloca tra “perifericità” e “centralità”, tra “centralismo” e “sinodalità”, se rompe le gerarchie relazionali e costituisce occasioni di nuova relazione.
“Abbiamo un urgente bisogno nella Chiesa di una comunicazione che accenda i cuori, che sia balsamo sulle ferite e faccia luce sul cammino dei fratelli e delle sorelle. Sogno una comunicazione ecclesiale gentile e al contempo profetica, che sappia trovare nuove forme e modalità per il meraviglioso annuncio che è chiamata a portare nel terzo millennio. Una comunicazione che metta al centro la relazione con Dio e con il prossimo, e che sappia accendere il fuoco della fede piuttosto che preservare le ceneri di un’identità autoreferenziale. Una comunicazione le cui basi siano l’umiltà nell’ascoltare e la parresia nel parlare, che non separi mai la verità dalla carità”.
Papa Francesco, nell’odierno messaggio, ha una prospettiva molto chiara e radicale.
Serve che anche noi, da queste parti, assumiamo decisioni e scelte lungimiranti e contestualizzate. Ma scelte fatte insieme.
*Articolo pubblicato su Luce e Vita n.21 del 21 maggio 2023
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