La solitudine è uno dei mali più diffusi in questa efficientissima società di inizio millennio. A ben pensarci spesso siamo tutti intrappolati nella morsa di un vero inganno: quello per cui dobbiamo avere come obiettivo il non aver bisogno di niente e di nessuno, quello per cui dobbiamo illuderci di bastare a noi stessi, quello per cui dobbiamo aspirare alla soddisfazione personale sotto ogni aspetto.
E ad alimentare questo inganno sono anche la tecnologia, la psicologia, i mezzi di comunicazione.
Basta che stai bene con te stesso. Basta che hai tutto ciò di cui hai bisogno. Basta che raggiungi i tuoi obiettivi. Basta questo, è vero, basta questo per diventare preda della morsa terribile della solitudine. La vita diventa fredda e asettica e quel falso tutto si rivela essere niente.
La solitudine non è solo un fenomeno individuale, ma un fenomeno sociale. Ci sono coppie, comunità, associazioni, gruppi che sperimentano uno stato di solitudine comunitaria. Il moltiplicarsi da ogni parte di lamentele e problematiche, nella associazioni ecclesiali come in quelle civili, ne è un segno evidente. Ci sono comunità e associazioni che vivono la solitudine, chiuse in se stesse, vincolate soltanto dal desiderio di fare iniziative e promuovere raccolte, sistemare i bilanci e pubblicizzare con i post le attività. Calendari fitti di appuntamenti, ma appuntamenti vuoti di passione.
Potremmo dire che la solitudine è una conseguenza del tutto pieno, del sold out, della soddisfazione. Più siamo pieni, come singoli e come gruppi, più siamo soli. Più ci illudiamo di ottenere soddisfazione alle noste aspirazioni, più siamo insoddisfatti.
Ci sarà un antidoto alla solitudine? Sì. L’antidoto alla solitudine è l’attesa. L’attesa ti dice che ti manca qualcosa o qualcuno ancora. L’attesa ti ricorda che è una illusione pensare di avere tutto e tutti, perché ci sarà sempre un altro, e un Altro, in arrivo. L’attesa è il vero rimedio alla solitudine.
Anzitutto l’attesa che è preghiera. L’anima che si trattiene nella preghiera scopre la sua profonda relazionalità, motivo per il quale è a immagine di Dio. Nella relazione con Dio l’anima impara che non potrà mai possedere il suo divino interlocutore, ma dovrà sempre attenderlo. Impara che più lo trova, più dovrà aspettarlo ancora. È proprio dell’amore non essere mai sazio, ma sempre affamato dell’altro, non essere mai compiuto, ma sempre desideroso di un di più, non essere mai arrivato, ma sempre pronto ad attendere un oltre. L’attesa è una espressione dell’amore. Chi ama non è mai solo perché l’amore stesso lo consola e soddisfa nell’attesa dell’amato. Ecco che nell’atteggiamento dell’attesa si riflette nell’anima il mistero trinitario di Dio, Amante e Amore e Amato.
L’attesa, però, è anche solidarietà. Proprio l’esperienza dell’anima diventa maestra di vita per colui che vuole vincere la solitudine anche nel tempo. Solidarietà è un’altra dimensione bandita dal linguaggio dei sapienti del nostro tempo. Solidarietà è un’altra forma di attesa che debella la solitudine. Perché dice che solidi, forti, completi si è solo con l’altro. L’altro non è uno strumento per soddisfare le tue personali necessità e le tue brame di autorealizzazione. Nel rapporto di solidarietà c’è di fondo l’attesa di essere a servizio dell’altro, non di riempire me stesso ma di dividere con l’altro. L’uomo non è stato creato per essere solo, ci ricorda la Genesi, ma per attendere sempre un altro, un’altra, degli altri, con i quali scoprirsi e amarsi.
Con questo numero di Luce e Vita vogliamo provare a risvegliare attesa, preghiera, solidarietà. Lo facciamo, come sempre, con gli articoli, gli approfondimenti, le storie. Lo facciamo con passione e con impegno. Lo facciamo consapevoli della nostra incompletezza. Lo facciamo con lo spirito di chi attende di essere utili ai propri lettori e, soprattutto, di servire il Signore, l’atteso, l’amato.
don Giuseppe Germinario, direttore