Leggi le letture della domenica
La testimonianza della propria fede espone, in ogni religione e in ogni contesto storico, al rischio dell’idolatria: a volte perché si adora qualcosa che si pensa essere divino senza che lo sia, altre (e più frequenti) volte l’idolatria si produce rimuovendo solo una lettera alla parola ‘Dio’ perché il senso della fede non sia più la sua gloria, ma la gloria dell’ ‘Io’.
Quando la fede è soltanto ostentazione, anche di opere buone, essa si è già mutata in qualcosa di diverso, di meno vero. Non bisogna confondere l’ordine dei piani: prima viene l’amore per Dio, poi l’azione buona fatta per amore suo e per i fratelli. Un’azione buona fatta solo per porre il proprio ego al centro non è mai fruttuosa fino in fondo.
Questo è essenzialmente il senso delle scritture che la liturgia di questa domenica ci offre: sia il profeta Malachia, che parla ai figli di Levi (ai sacerdoti dell’antica Alleanza) che hanno posto la loro gloria personale davanti a quella del Signore trasformando le loro benedizioni in maledizioni, sia Gesù, che parla agli scribi e ai farisei che predicano le buone opere ma non ne sono testimoni con la loro vita, vogliono smascherare l’ipocrisia di una fede che non è più rapporto con Dio, ma relazione con il proprio specchio.
Per contrasto ai leviti e agli scribi splende invece, nella seconda lettura, la figura di Paolo, colui che non esiterebbe a dare la sua vita per coloro a cui ha annunciato il Vangelo, che gli sono divenuti cari.
Si avvicina ormai la fine dell’anno liturgico e queste letture sono un ottimo spunto per riflettere sulla propria fede. In ciascuno di noi c’è sia Paolo sia il fariseo: il cammino della fede è un processo di continua purificazione, che va dal secondo verso il primo.
E Paolo stesso, con la sua vita, mostra quanto sia certamente difficile, ma con frutti meravigliosi, lo sforzo animato dallo Spirito Santo verso una fede non autoreferenziale ma che sa abbandonarsi all’Amore di Dio.
don Marco L. Cantatore, diacono