Gesù non è filosofo astratto o retore che affascina con la sua eloquenza, è molto concreto con le immagini vive e il desiderio di renderle operanti nel contesto, microscopico di ciascuno ma pur sempre irradiante su tutti e su tutta la comunità.
Matteo fa seguire una parabola all’altra, portando chi ascolta a interrogarsi su che cosa significhi la dinamica del regno. L’appello è sempre alla conversione, alla teshuvah: puntare i talloni e girarsi, cambiare, mutare. Osare giocare se stessi non per un potere mondano che, lì per lì, indubbiamente appaga e onora ma, poi, alla resa dei conti lascia amarezza, se non sconfitta.
Prestigio e guadagno non si addicono al Regno, quello di Dio, anche nel regno dei mortali che dominano, di tutti coloro che sono sempre degli arrampicatori sociali, prima o poi si svela il lato debole che produce il tonfo.
Il tesoro è nascosto, non palese a portata di mano ma a portata di fatica perché il contadino deve arare, lavorare duramente in un campo non suo, mentre la scoperta è casuale.
Chi sotterra qualche cosa, vi attribuisce valore notevole, tutela il suo tesoro, il suo bene, pensando forse a qualche erede che ne avrebbe potuto godere oppure a se stesso in tempi migliori?
Il nostro contadino, quello che scopre il tesoro- vale a dire noi stessi se accogliamo la parola che Gesù ci porge- non è un allocco, non grida ai quattro venti la sua scoperta: la tutela.
Vende quanto vale di meno e si assicura il bene maggiore. Il richiamo è limpido: il Regno di Dio vale per ognuno e per ognuna di noi la vendita di tutto quanto si possiede? In realtà noi stessi, con le nostre tensioni e i nostri desideri, le nostre vittorie e le nostre sconfitte, tutta la nostra esperienza di vita deposta nelle mani di Colui che annuncia salvezza personale e di tutti.
Quanti calcolano, esitano, si ritraggono?
Non hanno captato lo sguardo lungo che solo la nudità di ogni possesso conferisce alla persona, solo la consegna di sé garantisce che Lo si segue e tutto l’agire intende realizzare solo il Regno e non il proprio guadagno o la propria fama.
Per farsi intendere ancora di più, Gesù attira l’attenzione dei discepoli sulla perla di grande valore. Ecco comparire nuovamente la stessa dinamica e la stessa opzione sottesa: chi vuol capire e si abbandona, ha veramente afferrato l’invito del Figlio.
La sproporzione di ogni bene terreno e anche di se stessi come persona, è ineguagliabile e dovrebbe non solo risplendere ma abbagliare.
Come la perla che il mercante competente non cede a nessuno.
Quale schermo siamo capaci di opporvi? Quella stretta e angusta visuale solo su quanto si tocca e si possiede subito.
Non si può usare la calcolatrice con il Vangelo, bisogna buttarla, cestinarla e apprendere un linguaggio nuovo e inedito: la gratuità radicale.
E la paura? L’interrogativo si fa pungente: lasciare o trovare?
In fin dei conti …saremo pesci buoni o pesci cattivi? Al compimento, non alla fine del mondo.
Dipenderà dall’amore gratuito anche se siamo deboli e incapaci, solo per questo desiderio il Padre Misericorde ci guarderà e ci accoglierà.
Unica strada per diventare scriba accorto: cercare e gustare la sapienza con gioia.
Il senso dell’esistere nel pieno del quotidiano e banale lavoro, neppure nel proprio terreno: giace nel terreno di tutti, ovunque vivano.
Dinamica di decisione e dinamica di responsabilità.
Per questo tesoro siamo stati creati, per vivere di gioia.
Ognuno, se ha capito, se ha deciso, è scriba, gioioso anello di trasmissione.
Cristiana Dobner, Sir
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