Nella XV Domenica del Tempo Ordinario ascoltiamo la Parabola del Seminatore, la principessa delle parabole. Se non comprendiamo questa, come potremo comprendere le altre? Tutta la vita è una parabola, ma dobbiamo capirne il significato: è la sfida dell’ascolto.
Il seme di cui si parla è la Parola seminata nei fatti della nostra storia. Nei primi tre casi la Parola non la prende chi avrebbe dovuto prenderla, cioè il terreno buono. Nella vita o fraintendiamo o comprendiamo e siamo chiamati ad una crescita. La vita è crescita e non esistono fasi intermedie: nella vita spirituale o si va avanti o si va indietro. Lo stesso seme produce frutti molto diversi. Dio non dà alle persone a chi più e a chi meno, quello che il Signore dona è, però, diverso secondo l’apertura del cuore delle persone.
La parabola inizia con la folla che esce sulla spiaggia e Gesù se ne distanzia. Stanno tutti lì, ma ognuno non può vivere mescolandosi e nascondendosi nella folla. Ognuno è chiamato a un atto personale d’accoglienza: la fede è scelta personale. Anche io devo prendere una posizione: o lascio cadere le parole o non mi perdo una parola. Il problema della comprensione non è un esercizio intellettuale, ma cambia secondo il rapporto con il maestro. La Parola dice, infatti, la Prima Lettura “non torna in cielo come la pioggia e la neve, senza aver prodotto l’effetto per cui è stata mandata”, quantomeno l’effetto della verità.
C’è il seme che cade sulla strada: è destinato ad uno, ma gli uccelli, cioè i pensieri che vengono dal demonio, lo portano via. È ciò che accade quando il Signore ci dice cose che noi non comprendiamo, perché quando una cosa non la capiamo di solito non la accettiamo: la novità implica sempre un trauma. Dio non può dirci sempre quello che capiamo o quello che già sappiamo, Dio ci dice ciò che ci serve per farci crescere e crescere vuol dire uscire dall’infanzia e diventare adulti: nessuno di noi va a scuola o manda i figli a scuola per imparare qualcosa che già sa, ma per imparare qualcosa di nuovo. I Vangeli, subito dopo Natale, ci narrano che “Maria non comprendeva, ma custodiva nel suo cuore queste parole”. Il problema della nostra ragione è che spesso ci dà soltanto ragione e se ci fermiamo a quello che non capiamo ci chiudiamo. E se invece quello che non capiamo fosse parte di un disegno più grande? E se fosse un pezzo di una storia che si deve ancora compiere? Perché dobbiamo farcelo rubare dal maligno? Lasciamoci insegnare da Dio.
C’è il seme che cade sul terreno sassoso, spunta subito, ma poi il sole lo secca. Qui Gesù fa riferimento a coloro che accolgono la Parola con entusiasmo, poi arriva una tribolazione e si “seccano”. Se chi vive la strada vive di ragioni e cerca solo ciò che lo conferma, chi vive il sasso vive solo di emozioni, di sensazioni. Invece le persecuzioni arrivano: arrivano da fuori quando ti attaccano, perché vieni in chiesa; arrivano da dentro, quando le persone, anche dentro la chiesa, ti deludono; arrivano da Dio quando non ti dice quello che ti piace, ma ti contesta e ti fa soffrire. In questo caso abbiamo due possibilità: o ce ne andiamo o la Parola inizia a entrare in noi proprio quando non è l’entusiasmo che la conserva, ma qualcosa di più profondo che va oltre il cuore di pietra, cioè l’uomo vecchio.
Ci sono, poi, le spine che crescono insieme col grano e lo soffocano. Qui Gesù fa riferimento a quelli che credono di poter ascoltare due cose e non scelgono mai: per poter dire sì alla Parola bisogna dire no ad altre cose. Le spine sono ciò che è incompatibile con quello che Dio ti sta dicendo e non si eliminano da sole, vanno tagliate. Anche a Maria una spada trafiggerà l’anima non per uccidere, ma per separare. Bisogna sempre tagliare qualcosa per fare spazio a Dio.
C’è, infine, il terreno buono: “che dà frutto dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta”. Quando vivo con il Signore lasciandomi seminare da Lui in quello che c’è, che oggi può essere cento, sessanta, trenta, porto frutti, non risultati. Questi cento, sessanta e trenta non sono numeri messi a caso visto che erano anche le misure dell’Arca dell’Alleanza. Il terreno è, invece, il nostro cuore, dove cambia e dove non cambia, sapendo che il cammino con la Parola e con il seme è un cammino che dipende da quanto mi apro, perché la Grazia è per tutti e produce frutti straordinari, ma l’apertura spetta a me ogni giorno.
Francesco Buono, Sir
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