Dal 9 al 21 settembre il nostro vescovo, Mons. Domenico Cornacchia, insieme a don Beppe de Ruvo, ha visitato le comunità di molfettesi e giovinazzesi presenti in Australia. Abbiamo chiesto al vescovo di raccontarci questa esperienza.
Eccellenza, da cosa è nato il desiderio di visitare la comunità cristiana in Australia?
Già da tempo la comunità di molfettesi e giovinazzesi presenti in Australia mi avevano rivolto l’invito ad andare da loro. Io sono stato il terzo vescovo di Molfetta ad andare nella comunità degli emigrati in Australia. 41 anni fa, nel 1983, è stato lì il Venerabile don Tonino Bello, poi nel 2006 è andato Mons. Luigi Martella e quest’anno ho avuto io la gioia di condividere l’incontro con questi nostri fratelli e sorelle, lontani fisicamente, già di circa 20.000 chilometri da qui, ma vicini nella fede.
Cosa ci dice di loro?
Molti di quanti sono partiti da qui, diverse generazioni fa, hanno dovuto affrontare molta fatica, molta sofferenza. Alla fine dell’Ottocento e per tutta la prima metà del Novecento alcuni italiani a volte erano malvisti, messi a margine della società. Poi l’impegno, l’intraprendenza, la bontà di questi nostri fratelli emigrati hanno fatto breccia nel cuore della società australiana. Hanno affrontato tanti sacrifici, svolgendo anche i lavori più umili.
Quali zone avete visitato? E cosa l’ha colpita?
Abbiamo affrontato quasi 20 ore di volo, con uno scalo, e siamo atterrati a Perth. Lì ci ha accolti il vescovo di Port Pirie, il quale ha fatto circa 200 km per venire a prenderci! Abbiamo visitato anche Adelaide e Sydney.
L’Australia è un Paese grandissimo, è quasi 26 volte l’Italia, ma la popolazione non raggiunge i 26 milioni di persone, distribuita lungo i territori litoranei del continente.
È un paese giovane, con poco più di 200 anni di storia, ancora oggi legato alla Gran Bretagna in quanto parte del Commonwealth.
Mi ha colpito la voglia di crescere che si percepisce nella società. E poi la grande attenzione all’ambiente, alla cura degli spazi e delle cose pubbliche. Si nota che ci tengono alla bellezza e alla manutenzione e, soprattutto, al rispetto di tutto e di tutti, delle regole, anche perché le pene per chi sbaglia sono a volte anche dure. La politica è quella di prevenire situazioni pericolose e mancanze di rispetto.
Chi avete incontrato?
Anzitutto tanti concittadini. Mi ha stupito vedere tanti, molti dei quali venivano anche da località molto distanti, ad esempio quando eravamo ad Adelaide c’erano alcuni venuti da Sydney. Abbiamo incontrato una comunità molto coesa tra emigrati pugliesi, campani, siciliani, calabresi.
Siamo stati nella sede del quotidiano La Fiamma a Sydney, un giornale edito in lingua italiana e letto in Australia ma anche in altre zone dove ci sono comunità di italiani, come l’Argentina.
Siamo stati ricevuti dal console italiano a Sydney, dal vescovo di Sydney, il quale ci ha accompagnato nella cattedrale gotica della città.
Ma soprattutto ho voluto visitare delle famiglie. In una casa ho trovato una foto di don Tonino con un suo autografo di quando lui era stato in quella stessa casa. Poi ho visitato due case di riposo, dove mi ha colpito la cura e l’attenzione per gli ospiti.
Ho incontrato anche diversi giovani i quali, dopo aver visitato l’Australia, hanno scelto di restare lì per lavorare.
Quale è stata la sensazione nel vivere questi incontri?
Siamo stati accolti da cuori accoglienti, alcuni con le lacrime agli occhi per la gioia. Alcuni di loro mi dicevano che da più di 60 anni non erano più venuti a Molfetta e ci hanno incaricato di portarli nel cuore qui, nella nostra terra, e salutare i loro parenti e i luoghi della loro infanzia.
Per loro anche una telefonata dall’Italia è una grazia, è un sentirsi a casa.
Cosa vuole dire alle nostre città dopo questo viaggio?
Dobbiamo cercare di comprendere quanti, venendo da terre lontane, oggi bussano alla porta della nostra regione, della nostra Italia, ed essere accoglienti nei confronti dei nostri immigrati. Essi chiedono di essere accolti come i nostri antenati hanno chiesto di essere accolti in Australia.
Come ha trovato la Chiesa di Australia?
La Chiesa australiana ha sofferto molto a motivo degli scandali e degli abusi. È una Chiesa che sta lavorando per riacquistare la fiducia e la stima. Ma si tratta anche di una Chiesa dinamica, che si impegna ad offrire tanto bene.
E poi è una Chiesa giovane, ci sono delle vocazioni indigene, non solo religiose, ma anche diocesane. A creare difficoltà sono le grandi distanze, che rendono debole il tessuto delle relazioni tra le comunità e anche nel clero. Basti pensare che si incontrano una o due volte l’anno per alcuni giorni di spiritualità insieme al loro vescovo.
Lì, tutte le diocesi hanno un forte compito educativo perché sono affiancate dalle scuole che gestiscono. La scuola cattolica è per tante diocesi l’unica agenzia formativa dal punto di vista cristiano e catechetico.
a cura di don Giuseppe Germinario, direttore