Ruvo di Puglia, è lunedì mattina e cammino per il centro storico. Magico, anche alla luce del sole, come tutti i nostri centri storici, ti riporta alla dimensione della civitas.
Marco, che è venuto con me, è costretto a girare di qua e di là, perché di camminare con me non si finisce mai. Un saluto da una parte, una chiacchiera dall’altra.
In un attimo di pausa dai tanti incroci di sguardi amici, Marco approfitta e mi dice: «Don, ne ho contati almeno una quarantina!». «Di cosa?» gli chiedo. «Cartelli con scritto: Vendesi». Marco è un ragazzo che ha appena finito il quarto anno di scuola superiore ed ha una capacità di osservazione molto accentuata.
Non ci avevo fatto caso. Non ci credevo. «Facciamo un altro giro e vedi che è vero» mi ha detto, sfidandomi. Sono quasi le 13.00 e lo stomaco intima di rivendicare i suoi diritti, ma accetto. Via V. Veneto circa tredici, Via De Gasperi solo sei, Via Modesti forse quattro, Via Cattedrale sembra quattordici, e poi altri ancora tra Via San Carlo, Via Parini, e i Corsi… è vero sono davvero tanti! Ho sospettato per un attimo che si trattasse di una ulteriore installazione, di quelle davvero artistiche che si vedono a Ruvo. Poi mi sono ricordato che non siamo a Natale ma a giugno.
Si è fatto tardi e dobbiamo rientrare a casa. Ma la nota di Marco su tutte quelle case vuote, in vendita, non mi ha lasciato indifferente. Perché la realtà è questa, è di fronte ai nostri occhi e, spenti i riflettori di tante manifestazioni, sacre e profane, ritorna prepotentemente a farsi vedere. Per chi la città la vive anche di giorno, ovviamente, nella quotidianità, nella ferialità. A volte sembra che i nostri centri storici siano diventati dei set per eventi ed iniziative, e basta.
Il fenomeno notato lunedì mattina a Ruvo non è solo di Ruvo. Forse la storica cittadina ai piedi della murgia è solo segnata da una percentuale maggiore di un fenomeno che si estende a tutte le nostre città. E le domande dobbiamo porcele tutti: cittadini e autorità, Chiesa ed istituzioni.
Sicuramente verrebbe da chiedersi se chi amministra le nostre città, oltre a estemporanee e molteplici iniziative, spesso fini a se stesse, abbia maturato una visione di città, abbia elaborato una progettualità sui centri storici, che sono tesoro e ricchezza del nostro patrimonio; viene da chiedersi se abbia previsto degli investimenti per favorire il ripopolamento non solo di abitanti, ma anche di attività commerciali di questi nuclei antichi, ammirati da tanti stranieri e turisti.
Ma limitarsi a scaricare tutte le responsabilità sul ruolo degli amministratori della cosa pubblica sarebbe davvero sbagliato. Anche io mi pongo la domanda su questo fenomeno, e la pongo anche a te che leggi questo testo, e la pongo anche a coloro ai quali voi lettori riferirete di queste mie riflessioni, a quanti ne parleranno in questi giorni.
Non ho la pretesa di fornire risposte o soluzioni, ma la voglia di porre domande, di sollevare una questione che, seppur sopita, ritengo sia condivisa. Perché mentre si cerca da diverse parti di difendere e salvare dall’egida del tempo la cultura territoriale, si finisce per vendere, o svendere, lo spazio nel quale quella cultura è nata ed è vissuta.
Il nostro spazio, oggi vuoto, ci interroga e ci chiede di esercitare una cittadinanza attiva e positivamente critica, soprattutto una cittadinanza lungimirante. Come i nostri avi hanno edificato con la pietra i nostri centri urbani perché arrivassero a noi, così a noi spetta il compito di edificare con la fantasia e l’iniziativa il futuro non solo delle pietre, ma delle comunità cittadine.
Al di là degli eventi ci vogliono i progetti, quelli audaci, quelli che noi possiamo seminare ma dei quali, probabilmente, vedranno i frutti i nostri nipoti. Ci vogliono prospettive di investimento sul nostro futuro, sul futuro della nostra terra, sul domani delle nostre città.
Quella che qui pongo in atto è una provocazione, sperando che in ogni città prenda corpo il confronto. I fattori e le riflessioni sono davvero tante e non dobbiamo stancarci di riprenderle e, con maturità e voglia di concordia, porre domande ed elaborare prospettive. Intanto con Marco ci siamo rimessi in macchina per tornare a casa. Nei pochi minuti di strada, ormai senza traffico, ringrazio Marco che mi ha dato questo spunto. I miei occhi stanchi si erano fermati al presente, i suoi occhi giovani stavano guardando al futuro.
Gli ho detto che ha una grande capacità di leggere i “segni della strada” e che non deve sottovalutarla per il suo personale futuro. Chissà, un domani potrebbe diventare un buon amministratore pubblico!
Sicuramente sarà un ottimo cittadino.
don Giuseppe Germinario, direttore