Riproponiamo l’intervista di Giovanni Capurso a Mons. Luigi Bettazzi, nel novembre 2019, con riferimento anche alla pubblicazione del volume Egoista a 18 anni? edito da la meridana.
“Il 20 ottobre 2019 nelle Catacombe di Domitilla è stato solennemente rinnovato il “Patto per una Chiesa serva e povera” stipulato il 16 novembre 1965, in quello stesso luogo, qualche settimana prima della conclusione dell’assise. Lei vi partecipò giovanissimo. Quel è il suo significato e perché è stato rinnovato?
Sono rimasto l’ultimo dei quarantadue vescovi presenti allora. Fu voluto dai vescovi perché il movimento della “Chiesa dei poveri” voleva delle affermazioni più forti nel Concilio. E Paolo VI – c’era la guerra fredda – aveva paura che una accentuazione della Chiesa dei poveri sembrasse prendere delle posizioni contro l’Occidente. Scrisse una Enciclica, la Populorum progressio, che prese l’orientamento sulla pace piuttosto
che sulla chiesa dei poveri. La sede del “movimento per la chiesa dei poveri” era il collegio belga. E allora dal collegio belga venne l’idea di prendere degli impegni al di là delle affermazioni formali del Concilio. Sparsero la voce e ci trovammo in quarantadue in maniera occasionale per celebrare una messa alle catacombe di Domitilla. Alla fine della celebrazione presentammo questo documento che venne definito “Patto delle Catacombe”, in cui ci impegnavamo noi vescovi a vivere più semplicemente anche nelle abitazioni, nell’uso dei mezzi di trasporto, nell’essere più vicini ai lavoratori e nell’affidare le finanze a laici fidati. Ecco, in quarantadue firmammo, ma poi fu sottoposto anche ad altri vescovi e amici e il cardinal Lercaro consegnò al Papa oltre cinquecento firme. Io credo che se avessero chiesto anche ad altri le firme sarebbero state molte di più. Questo fu il Patto di santa Domitilla. Il senso fu quello di dire ci impegniamo anche noi personalmente sul piano dell’ecologia, della difesa di tribù antiche, contro le ingiustizie, sulle deformazioni del terreno. Il senso è appunto questo: il Papa darà le sue indicazioni al sinodo par tutta la Chiesa, ma noi ci impegniamo in prima persona.
È anche vero che al Concilio si parlò poco di questi temi, soprattutto della povertà…
Allora Paolo VI era molto preoccupato, non voleva che venisse trattato in maniera esplicita. Come detto c’era la Guerra fredda, c’era l’Unione sovietica e il comunismo era molto forte, e il Papa aveva paura che parlare di Chiesa dei poveri fosse interpretato come un atto contro l’Occidentale atlantico e capitalista.
Secondo lei c’è ancora una spinta del Concilio Vaticano II, e soprattutto su quali temi?
Ha ancora molto da dire. Un famoso padre domenicano disse che per capire bene un Concilio e per metterlo in pratica ci voglio cinquant’anni. Papa Francesco che al Concilio non c’era, per esempio, sta mettendo due delle cose che il Concilio aveva seminato: primo la vicinanza ai poveri. Non che non avessimo in passato aiutato i poveri, ma loro ci devono aiutare a capire cosa è l’umanità. Perché i ricchi e i potenti vedono l’umanità dal loro punto di vista. Invece i poveri ci fanno capire che ci dobbiamo aiutare gli uni con gli altri, il volto della solidarietà, non che chi ha di più cerchi di avere sempre di più. Ma se qualcuno ha di più deve aiutare chi è in disagio. L’altra cosa è quella che in Concilio chiamavamo la collegialità e oggi la sinodalità, cioè chi è a capo non è un dominatore. Diceva Gesù il più grande è colui che serve. Allora la sinodalità è consultare e poi il Papa darà la sua parola. Del resto quando il Concilio Vaticano I definì l’infallibilità del Papa in materia di fede e morale, è infallibile perché esprime l’infallibilità della Chiesa.
In che senso?
È la Chiesa che è infallibile e il Papa, che parla a suo nome, prima di esprimersi sente la voce e il sentimento dei fedeli. Quindi deve consultarsi. Io faccio sempre un esempio: quando Pio XII definì che la Madonna è assunta in Cielo, lo fece il primo novembre 1950: prima consultò tutta la Chiesa, e si rese conto che la Chiesa credeva che la Madonna fosse assunta in Cielo. Ma non riuscì a definire se l’assunzione fu prima o dopo la morte. Tantissimi pensano dopo morta, ma non è così sicuro, infatti nel documento viene detto “la madonna giunta al termine della vita”. L’assunzione è un fatto fede, che sia dopo la morte è invece l’opinione più diffusa, ma non c’è unanimità. E allora perché si è arrivato ad affermare così tardi a questa conclusione come anche quella dell’Immacolata concezione? Vedi vale lo stesso discorso anche per l’Immacolata concezione. Il Papa si accorse che la gente ci credeva e gli sembrò opportuno affermare questa verità. È anche da dire che prima, il fatto che il Papa fosse re, determinava una situazione di dominio. Perduto lo Stato pontificio si è arrivati più facilmente a determinate conclusioni. “È servo dei servi di Dio” dice Gregorio Magno. Questo ci dice che lo Spirito Santo agisce nella Chiesa, ma poi la gerarchia ha il compito di regolare. Poi riguarda gli ordini religiosi, i movimenti religiosi. Pensiamo ai Focolari di Chiara Lubich. Nasce nella Chiesa, lo Spirito Santo lavora nella Chiesa e la gerarchia deve garantire che tutto sia fatto nel modo migliore. Mi pare una cosa molto interessante. Quindi è un bene che la Chiesa abbia perso il potere temporale…
Quando furono fatti i cent’anni dell’unità d’Italia in Campidoglio andò l’allora arcivescovo di Milano, Montini, il quale disse “ringraziamo il Signore che non abbiamo più lo Stato pontificio”. Certo, il Papa dovette scomunicare lo Stato piemontese dopo Porta Pia. Ma effettivamente dobbiamo ringraziare il Signore per questo perché il Papa non ha più questo carattere di dominio. Sì, c’è lo Stato Vaticano, ma per modo di dire; oggi il Papa può mostrarsi pienamente come un rappresentante religioso.
Sul Sinodo dell’Amazzonia come vede la questione dei viri probati e il diaconato femminile.
Sui viri probati si voleva presentare la questione già durante il Concilio, ma Paolo VI non gradiva. Ma ci sono già di fatto i viri probati in Italia, in Calabria, a Lungro: essendoci il rito orientale si possono ordinare preti uomini sposati. Non diventano vescovi, ma a Lungro su una sessanta di preti abbiamo trenta famiglie. C’è già insomma. Io credo che si arriverà e potrebbero aiutare noi celibi. Se loro hanno l’esperienza dell’amore umano possono arrivare più facilmente all’amore divino. E per noi possono essere di grande aiuto.
Per il diaconato delle donne il Cardinal Martini insisteva parecchio. Noi non diamo il sacerdozio alle donne perché non c’erano. Ma c’erano le diaconesse. È chiaro che per battezzare le donne che andavano con un vestito bianco nell’acqua battesimale erano necessarie le diaconesse. E nella lettera ai Romani san Paolo dice “Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencrea” (Romani 16,1) E allora è opportuno dare questo riconoscimento alle donne che sono di fatto impegnate in tanti servizi
nella Chiesa.
In questa sorta di memorandum pubblicato con la Meridiana, Egoisti a 18 anni?, lei parla dei giovani che si sentono soli e senza prospettiva…
Loro hanno un aiuto nel cellulare, ma hanno anche un pericolo, quello di non avere più un dialogo con un’altra persona perché parlano senza… Io credo che dovremmo anche aiutarli a mettersi a tu per tu con la gente e a verificare le loro idee non su telefonino, ma con il confronto di idee. Ci sono per fortuna tanti settori di giovani, di volontariato, di servizio, ma dovremmo incoraggiare i giovani ad essere più aperti al
dialogo a prescindere dal telefonino.
Lei parla anche del forte individualismo presente nella nostra società, del venir meno della solidarietà…
Sì, sì, ma per me il pericolo è quello della chiusura nel proprio io.
Giovanni Capurso
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.