“Allahu akbar” (Dio è il più grande). Fa male ascoltare ripetutamente, come un mantra privo di significato, l’appello, che è in realtà un atto di fede islamico, associato agli efferati atti di guerra che le cronache televisive ci stanno restituendo in queste ultime ore. Respingiamo ancora una volta l’uso strumentale di Dio per giustificare la violenza.
“È l’attacco peggiore negli ultimi anni. Per ampiezza, modalità e coordinamento questo attacco ha elementi di tristi novità. Mi ricorda per analogie la guerra dello Yom Kippur quando Siria e Egitto attaccarono a sorpresa Israele” commenta a caldo Daniele Rocchi, giornalista Sir corrispondente dal Medio Oriente, nel gruppo whatsapp di quanti siamo andati solo un mese fa in Israele a documentare i progetti 8xmille.
Ho ancora negli occhi le migliaia di volti incontrati in quella terra, dal 10 al 15 settembre e mi fa strano considerare se questa guerra – perchè di guerra si tratta – fosse scoppiata allora. “Cari amici, questo attacco di enorme portata ha colto tutti di sorpresa, scrive nel gruppo Adriana Sigilli, tour operator che organizzò il nostro viaggio -. Io sono in Italia e ritorno a Gerusalemme tra due settimane. Tutti i miei amici mi chiamano perché sono spaventati in quanto le sirene suonano continuamente anche a Gerusalemme. Possiamo solo pregare augurandoci che finisca immediatamente come è accaduto nei mesi scorsi”.
“Siamo in una emergenza molto grave e temo che si arriverà alla guerra”: così il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, commenta al Sir l’attacco sferrato da Hamas. “La presa di ostaggi israeliani, fenomeno in nessun modo giustificabile – sottolinea il porporato – non farà altro che favorire una maggiore aggressività da ambo i lati, soprattutto da parte israeliana”. Il patriarca rivolge poi lo sguardo alla piccola comunità cristiana gazawa, poco più di 1000 fedeli dei quali solo un centinaio cattolici, appartenenti all’unica parrocchia latina della Striscia, dedicata alla Sacra Famiglia, incoraggiando “i cristiani della Striscia, impauriti”: “Sappiano che, come sempre, non saranno lasciati soli e che questo è un momento in cui dobbiamo essere uniti più mai”.
Anche i volti dei cristiani e musulmani di Gaza ricordo molto bene dal viaggio del 2015. Asserragliati come sardine, circa 2 milioni di abitanti, in una piccola striscia di territorio. Ma la violenza chiama violenza. Quindi nessuna giustificazione per questo inatteso rigurgito palestinese.
Purtroppo l’esultanza dei palestinesi e delle nazioni con loro alleate si percepisce anche nelle parole di una studentessa, incontrata a Betlemme che ha scritto ad uno di noi giornalisti proprio il 7 ottobre, a guerra iniziata: “Per quanto riguarda l’attacco di oggi, è qualcosa a cui nessuno di noi aveva nemmeno pensato, è abbastanza sorprendente vedere come ci siamo svegliati. Questo tipo di rivolte di solito si verificano quando si verifica un grande cambiamento nella scena politica e, non mentirò, in un certo senso infonde speranza nei nostri cuori, speranza di libertà e pace. Sono le 17:55 mentre scrivo questa email le sirene si sono fermate solo 2 ore fa, i missili hanno smesso di cadere 4 ore fa, oggi abbiamo dovuto evacuare la scuola in meno di 40 minuti dall’inizio della nostra giornata. Già 161 martiri a Gaza.
I nostri genitori che hanno assistito all’intifada hanno paura di essere assediati dagli israeliani adesso e di limitare il nostro accesso alle risorse, come cibo, gas, elettricità e acqua, quindi tutti quelli che conosco stanno preparando la loro fornitura di beni di prima necessità per i prossimi 3 mesi!
Le università sono invece passate all’istruzione online. Vivo alla periferia di Betlemme, circondata da insediamenti e posti di blocco, ho vissuto in prima persona l’impatto del conflitto israelo-palestinese. La recente escalation di violenza, con i razzi lanciati vicino a casa mia, scossa dalle esplosioni, ha ulteriormente aggravato la situazione. È un peccato che la sofferenza della popolazione di Gaza continui, e c’è un senso di frustrazione per il fatto che la comunità internazionale non abbia intrapreso un’azione decisiva contro l’assalto israeliano. Il conflitto in corso ha creato un’atmosfera di guerra, in cui ciascuna parte sente il bisogno di contrattaccare l’altra. In questo momento difficile e incerto, è rincuorante vedere che ho trovato un legame con il mio professore israeliano, nonostante la distanza fisica tra noi. Attraverso i social media, ho potuto comunicare e condividere le mie esperienze, offrendo sostegno reciproco”.
Si comprende come il conflitto e le ostilità tra israeliani e palestinesi si trasmetta quasi geneticamente. Per questo occorre un sforzo immane dal punto di vista diplomatico nella direzione della pace.
“La comunità internazionale deve ritornare a prestare attenzione a quanto accade in Medio Oriente. Gli accordi diplomatici, quelli economici – conclude Pizzaballa – non cancellano un dato di fatto: esiste una questione israelo-palestinese che ha bisogno di essere risolta e che attende una soluzione”.
Allahu akbar. Dio è più grande, è la nostra Speranza di pace, non di guerra.
Luigi Sparapano
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