XXXIII domenica del Tempo Ordinario: “le mie parole non passeranno”

Nell’itinerario delle Letture bibliche domenicali ci ha accompagnato il Vangelo di San Marco, che oggi presenta una parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi. In questo discorso, c’è una frase che colpisce per la sua chiarezza sintetica: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mc 13,31). Fermiamoci un momento a riflettere su questa profezia di Cristo.

L’espressione “il cielo e la terra” è frequente nella Bibbia per indicare tutto l’universo, il cosmo intero. Gesù dichiara che tutto ciò è destinato a “passare”. Non solo la terra, ma anche il cielo, che qui è inteso appunto in senso cosmico, non come sinonimo di Dio.

La Sacra Scrittura non conosce ambiguità: tutto il creato è segnato dalla finitudine, compresi gli elementi divinizzati dalle antiche mitologie: non c’è nessuna confusione tra il creato e il Creatore, ma una differenza netta. Con tale chiara distinzione, Gesù afferma che le sue parole “non passeranno”, cioè stanno dalla parte di Dio e perciò sono eterne.

Pur pronunciate nella concretezza della sua esistenza terrena, esse sono parole profetiche per eccellenza, come afferma in un altro luogo Gesù rivolgendosi al Padre celeste: “Le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato” (Gv 17,8).

In una celebre parabola, Cristo si paragona al seminatore e spiega che il seme è la Parola (cfr Mc 4,14): coloro che l’ascoltano, l’accolgono e portano frutto (cfr Mc 4,20) fanno parte del Regno di Dio, cioè vivono sotto la sua signoria; rimangono nel mondo, ma non sono più del mondo; portano in sé un germe di eternità, un principio di trasformazione che si manifesta già ora in una vita buona, animata dalla carità, e alla fine produrrà la risurrezione della carne.
Ecco la potenza della Parola di Cristo.

Papa Benedetto XVI, Angelus del 15.11.2009