Il gorgoglio del Giordano che scorreva accanto a me e il calpestio della gente che veniva verso di me sono i suoni che hanno caratterizzato tante delle mie giornate. Entrambi erano suoni che cantavano la vita che scorre.
Come l’acqua del fiume scorre verso il basso, così l’umanità scorreva verso quella zona bassa del territorio del Giordano quasi fosse la gravità a portarla lì.
Una volta avevo sentito un maestro dire che un certo filosofo pagano aveva scoperto che ogni oggetto tendeva al suo luogo naturale, per questo il fuoco va verso l’alto e una pietra o l’acqua verso il basso.
Così, pensavo, tutta questa gente scende qui nella valle del Giordano come se la profondità della terra fosse il suo luogo naturale, come una pietra che non riesce a risalire ma solo a scendere, sempre più in basso, appesantita dalla fatica del quotidiano e dall’angoscia del futuro.
E io ero lì per ricordare a tutti che il loro luogo naturale non era la terra ma il cielo.
Me li ricordo tutti. Ad esempio, un giorno venne una ragazza di nome Noa, figlia di un funzionario a Gerusalemme. Suo padre era vissuto sempre fuori casa, sua madre era venuta a mancare quando lei aveva solo tre anni.
Era cresciuta con le sorelle più grandi, ma sentiva la mancanza di punti di riferimento.
La abbracciai e le sussurrai nell’orecchio che Dio non l’aveva mai abbandonata. Poi le suggerì di tornare a Gerusalemme e andare a cercare suo padre. Lo fece e, dopo un mese, tornò lì giù al Giordano festante e mi disse: «Giovanni, grazie! Sono andata in cerca di mio padre e, quando l’ho trovato, lui è rimasto così sorpreso che ha pensato fosse successo qualcosa alle mie sorelle. Poi gli ho spiegato che ero lì solo per lui. È rimasto impietrito per un po’ di tempo, poi mi ha accarezzato il volto e mi ha detto: scusami Noa, avrei dovuto interessarmi io a te! E così mio padre ha cominciato a venire almeno una volta a settimana a casa per stere con me e le mie sorelle. Grazie Giovanni, perché mentre andavo in cerca di mio padre mi sono resa conto che avevo bisogno di cercare anche io mio Dio. Ma dove posso cercarlo?». Mi spiazzò con questa domanda. Le risposi, quasi senza pensarci, che doveva attendere perché il Messia stava per venire.
Come Noa, erano in tanti a venire da me: c’erano poveri, molti malati, zoppi, ciechi, diversi invalidi a causa di qualche battaglia in guerra. Ma c’erano anche tanti ricchi, membri della corte. E poi tanti giovani, soprattutto quelli più benestanti e con uno stile di vita abituato ad ogni comfort.
Eitan era uno di questi, era un giovane a cui non mancava nulla, apparentemente. Venne da me perché ne aveva sentito parlare e, con dei suoi amici, volevano vedere quanto di vero c’era nelle voci che circolavano su un certo Giovanni il Battista. Quando li vidi avvicinarsi avevano tutta l’aria di volersi prendere gioco di me. Molti erano quelli che venivano anche per denigrarmi e offendermi e io ci avevo fatto il callo. Ma loro no, quando si avvicinarono cominciarono a farmi tante domande. Volevano sapere come facessi a vivere mangiando locuste e insetti, dove passassi la notte, cosa pensassero i miei amici della mia strana scelta di vita. Poi Eitan disse: «Vorrei avere anche io il coraggio di lasciare tutto e tutti e vivere come te».
Gli brillavano gli occhi. E lì capii che la sua finta libertà di poter fare tutto era in realtà un dura prigione di dover fare tutto quelli che gli altri si aspettavano da lui. Eitan voleva essere libero e aveva visto in me una possibilità di liberazione. Gli dissi che doveva attendere, perché il messia liberatore stava per venire.
Un giorno, mentre ero circondato da una grande folla, il mio sguardo fissò un uomo. Era distante, lo intravedevo appena tra i tanti che si accalcavano, ma lo notai subito. Chiesi a tutti di fare spazio. Riuscì ad avvicinarmi a lui. Aveva qualcosa di affascinante e al tempo stesso di rassicurante. Ero intimorito ma anche rasserenato dalla sua presenza. Ebbi la sensazione che sapesse già tutto di me, che mi conoscesse da sempre, che avessimo già trascorso tanto tempo insieme. Mi feci coraggio e gli domandai come si chiamasse, era la prima domanda che facevo a tutti quelli che venivano da me. Mi rispose: «Sono io. Giovanni, mi hai riconosciuto? Sono Yeshua».
Sì, era proprio lui. Ad un tratto mi resi conto che lo conoscevo benissimo perché avevamo per anni giocato insieme nella mia casa dopo la Pasqua. Ma mi resi conto anche che era per me completamente nuovo, del tutto sconosciuto, attraente. Forse era lui il messia che tutti lì stavamo attendendo!
È arrivato, pensai. Il cuore cominciò a battermi forte e le gambe a tremare.
don Giuseppe Germinario, direttore