Il giornalismo è un campo difficile, soprattutto quando si tratta di raccontare situazioni difficili. È il caso degli inviati di guerra, di tutte le guerre, ma in particolare in questo momento del conflitto in Medioriente.
La Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) ha lanciato un grido d’allarme per l’informazione: nell’ultimo anno, da quando si è riacceso il clima di guerra in Medioriente, i giornalisti uccisi o arrestati da Israele sono in numero crescente.
Fino ad alcuni mesi fa detenevano il triste record di giornalisti in arresto anzitutto la Cina, con circa 44 giornalisti incarcerati, e il Myanmar, seguiti da Bielorussia, Russia, Vietnam, Iran, e altri, tra i quali la Turchia. Ma dall’ottobre 2023 ad oggi si contano almeno 76 giornalisti arrestati da Israele nei territori palestinesi e un’altra ventina di giornalisti sottoposti a detenzione amministrativa, una forma di detenzione a tempo indeterminato nella quale non è necessario ci siano accuse o processi. Molti altri giornalisti hanno subito attacchi alle loro abitazioni o anche alle loro famiglie. Questo va ad aggiungersi ai circa 130 giornalisti uccisi durante il conflitto, dei quali più di 120 palestinesi, un paio di israeliani e tre o quattro libanesi.
I numeri precisi è difficile saperli, sia per la difficoltà nell’avere informazioni dettagliate e precise, sia perché sicuramente dal momento in cui sto scrivendo a quello nel quale leggerete le stime, purtroppo, potrebbero essere peggiorate.
Questi dati, seppur approssimativi, sono molto eloquenti.
In un tempo informatizzato e globale, un video, una foto, un articolo, un racconto possono fare il giro del mondo in pochi minuti e portare anche la persona più lontana dentro le storie più vere e, in questo caso, tragiche. Noi scorriamo i video su TikTok (che oggi forse è la prima fonte di informazioni per diversi, soprattutto giovani e giovanissimi, clicchiamo un sito di informazione o, più semplicemente, vediamo il Tg in televisione. Qualcuno, ancora, è tra i pochi ad andare in edicola per non perdere il fascino di toccare quasi le notizie che, per contatto, gli vengono dalle pagine di un giornale.
Ma dietro tutto questo groviglio di informazioni ci sono uomini e donne che dedicano tempo e, per situazioni pericolose, mettono a rischio la propria vita. Si tratta di un eroismo dell’informazione, di una campagna per la pluralità.
Forse è proprio questo uno dei motivi per cui, quando inizia a venir meno la libertà e la possibilità di obiezione, tra i primi ad essere colpiti sono proprio i giornalisti. E non parliamo di quelli da scrivania, che compilano testi studiati a tavolino per colpire quello o quell’altro, così da cercare di avere un po’ di risonanza nel frastuono delle informazioni.
No. Ad essere colpiti sono quelli che mettono i piedi nella polvere delle strade distrutte dalla guerra e riprendono i volti dei civili in lacrime per la perdita dei loro beni. Sono quelli che ci parlano con le persone e le incontrano davvero. Sono quelli che hanno la passione per la verità e non badano a notti e giorni pur di rendere testimonianza della realtà. E spesso, a scapito di quegli altri, anche meno pagati e gratificati.
Sono uomini e donne che, spesso, vivono fianco a fianco con i profughi, con i militari, con gli sfollati.
E se lo fanno, forse, è per cercare in qualche modo di rendere anche noi vicini a loro, di strapparci dall’indifferenza, per farci provare anche solo per pochi minuti e dalla nostra comoda poltrona che cosa altri uomini e donne come noi oggi stanno vivendo a causa della guerra.
Lo dobbiamo capire: i signori della guerra ci preferiscono indaffarati nelle nostre chiacchiere insignificanti o attratti dai varietà di turno, ci preferiscono distratti dalla verità della vita che interroga la nostra coscienza. A loro basta che si ascoltino i loro discorsi altisonanti, che accendono l’odio e aumentano le divisioni.
Per fortuna ancora oggi non mancano tanti Giovanni Battista che cercano di scuotere la sensibilità di tanti spettatori e di mettere in luce le ipocrisie degli Erode del momento.
Scendiamo al Giordano, perché solo guardando in faccia la realtà si può poi davvero cominciare a convertirsi e a cercare l’unico Re della Pace, il Messia ferito, Cristo Signore.
don Giuseppe Germinario, direttore