Apprendiamo ancora la notizia di una morte sul lavoro, che fa più rumore proprio perché avvenuta nella nostra diocesi: un uomo di 79 anni di Giovinazzo, carpentiere, è precipitato nel vano ascensore di una palazzina di Terlizzi, dove era per un sopralluogo.
Questo ci riporta repentinamente alla triste realtà di una strage che si sta consumando giorno per giorno nelle nostre città: una strage che non colpisce solo i giovani, ma che coinvolge lavoratori di tutte le l’età anche quelli che dovrebbero essere tranquilli pensionati.
Inasprire le sanzioni non può essere la sola strada per ridurre le morti sul lavoro, laddove è stato più volte detto che i controlli sono scarsi e il personale che li compie ridotto.
Occorre lavorare su una cultura della sicurezza, sin dalla scuola superiore inserendola come una materia curriculare, contenendo così il rischio di sottovalutazione del pericolo da parte degli operai anziani e di quelli più giovani. Dare sostanza e concretezza ai corsi di formazione sulla sicurezza non solo in base al numero di ore certificate, ma al loro effettivo impatto sulla vita quotidiana del lavoratore.
È importante avere un giusto approccio al tema – le leggi e i corsi ci sono – che chiede uguale responsabilità sia da parte del lavoratore a cui spetta passare dalla formazione teorica alla reale contestualizzazione, senza sottovalutare il rischio e dire “si è sempre fatto così”, sia da parte delle aziende che devono investire in percorsi reali di sicurezza e non in bollini o certificazioni e in condizioni più rispettose dei tempi di lavoro.
Non si può morire di lavoro. Lavoro che deve ritornare ad essere luogo di crescita e di realizzazione della persona umana e non di morte.
Silvia Bonsi, Ufficio per la Pastorale sociale e del Lavoro