Si parla tanto della donna, a volte però si riflette poco.
La donna non si valorizza concedendole semplicemente di occupare posizioni apicali. Perché poi sono sempre uomini che concedono alle donne di assumere incarichi o di svolgere compiti, e gli esempi sarebbero tanti. Il soggetto operante resta l’uomo, la donna diventa opportunità di visibilità. Più che valorizzazione, forse è strumentalizzazione. La presenza della donna in alcune realtà diventa pubblicità, propaganda, populismo.
La donna non viene valorizzata quando fa le cose che fino a quel momento facevano gli uomini, non diventa più donna quando prende il posto dell’uomo. Valorizzare la donna non significa maschilizzarla. La donna diventa donna quando resta donna, quando mette fuori se stessa con le sue peculiarità.
Questa riflessione è stata una delle conquiste anche del pensiero femminista. Se volessimo trovare qualcosa di buono in questo pensiero, sicuramente sarebbe il fatto che lo stesso femminismo nella sua evoluzione è giunto, nella cosiddetta “terza ondata”, a riconoscere che la donna non acquista la sua dignità quando scimmiotta i ruoli maschili, ma quando esprime la sua peculiarità.
Se il pensiero femminista è arrivato a queste conclusioni solo negli ultimi decenni e tramite asserzioni non sempre del tutto condivisibili, la Chiesa dalle sue origini ha saputo dare giusta dignità alla differenza tra maschile e femminile, secondo il dettato della Rivelazione. Alcune proposte di maschilizzazione, come il ministero ordinato diaconale o sacerdotale, rischiano di essere una pericolosa involuzione di questa avanguardia di rispetto delle identità che la Chiesa ha sempre garantito.
Cristo, il quale ha dato origine alla Chiesa, il quale ha fatto e detto bene ogni cosa, ha assegnato ad ogni genere compiti e missioni proprie affinché, senza confusione od omologazione, uomo e donna proprio nella differenza, non solo umana ma anche ecclesiale, realizzino la ricchezza scritta già nel progetto della creazione. Diversamente, il rischio più grande non è di perdere potere, ruoli, influenze, ma è di deturpare il progetto originario del creatore. E questo è il peccato.
L’esempio perfetto del ristabilimento dell’ordo creationis è Maria. Cristo non ha reso Maria apostola, sacerdotessa, diaconessa, teologa, e così via. Cristo ha voluto Maria Madre, così come dall’inizio della creazione solo alla donna è dato di far crescere la vita portandola in grembo. Cristo ha dato dignità alla sua capacità di dare la vita, ha rispettato l’ordo creationis aggiungendo a questo l’ordo gratiae, concedendole la verginità perpetua anche durante e dopo il parto. In questo dare la vita senza egoismi, in modo verginale, Maria riflette l’economia trinitaria oblativa di Padre e Figlio e Spirito Santo. Cristo ha esaltato l’essere donna di Maria, non perché le ha conferito il primato già dato a Pietro, ma perché l’ha fatta essere se stessa, Maria, Madre.
E Maria ha dato esempio di come essere donna con la sua assoluta libertà. Maria è una donna libera, perché alla proposta dell’Angelo non sceglie secondo ciò che si aspettano gli altri, né secondo quanto potessero giudicare gli uomini. Maria preferisce fare la volontà di Dio. Come non è libero chi si fa condizionare dal giudizio degli altri, così non è libero chi fa ciò che vuole, perché anche questi in realtà è schiavo, schiavo del suo ego. Libero è chi fa la volontà di Dio, chi realizza l’unico vero progetto di libertà per la propria vita, quello di Dio.
Anche la Chiesa, come Maria, è sempre stata libera dalle minacce del pensiero di ogni tempo e, sfidando l’impopolarità, ha affermato il primato del progetto di Dio sull’uomo e sulla donna, dando valore alle differenze. Perché l’uomo e la donna valgono davvero in quanto sono insieme immagine di Dio.