29 settembre

«Seduto in quel caffè
io non pensavo a te
guardavo il mondo che
girava intorno a me».

Un tradimento, sognato o consumato, è il tema di una delle più famose canzoni di Battisti e Mogol. Subito ci torna in mente la melodia e, insieme ad essa, quel sole che cancella tutto, o quasi. Perché resta solo la memoria, sbiadita, del mondo che girava intorno, come dopo una sbronza, e del buio che faceva sparire tutti i punti di riferimento. È 29 settembre, il titolo della canzone, ma anche il giorno in questione, un giorno qualsiasi. Forse fu tra le prime canzoni a rompere l’idillio di quegli amori perfetti, romantici, a volte mielosi cantati da tutti, per raccontare una debolezza che dal buio viene fuori.

Francesca sta sbrigando qualche faccenda in casa quando la radio, che lei ascolta spesso, comincia a diffondere le note di questa nota canzone. Le si stringe il cuore e, benché sia pieno giorno, ritorna per un attimo quel buio innanzi a lei. Aveva 14 anni nel 1967, quando il brano musicale fu pubblicato. Allora non sapeva ancora cosa fosse l’amore.

Oggi al risentirlo piange, perché lo sa, lo ha vissuto, lo sente dentro. E intanto non si accorge che è tornata a casa sua figlia Annalisa, la quale entra in cucina e la sorprende con le lacrime agli occhi.
«Che succede mamma, perché piangi». Cerca di negare l’evidenza, poi deve giustificarsi: «È stato Battisti e quel 29 settembre. Mi ha fatto ricordare tuo padre, quella volta in cui arrivammo a volerci lasciare perché me l’aveva fatta grossa. Avevo deciso di non perdonarlo più. E mi disperavo sentendo questa canzone perché, diversamente da quanto dice il testo, io sapevo perché e lui insisteva a chiedermi scusa. Questo fatto forse non te lo avevo mai raccontato, tu sai solo come è andata a finire». Il racconto è confuso, interrotto dai nodi alla gola, ma Annalisa la abbraccia, non avrebbe mai immaginato che sua mamma custodisse da così tanti anni questo dolore, vedendo con quanto amore continua a curare Gino, suo marito, che è di là, nella stanza da letto non più autosufficiente da quasi cinque anni.

Francesca si asciuga gli occhi con un fazzoletto di carta, poi rompe il silenzio che è calato pesante.
«Non ho mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno, perché avevo dovuto lottare tanto con i miei per convincerli a farmi sposare con lui». Torna io silenzio, poi aggiunge: «Decisi la Domenica successiva di andare con zia Lella a Monte Sant’Angelo, lei ci è andata sempre tutti gli anni fino all’ultimo. All’epoca era il luogo più distante che potessi desiderare di raggiungere, e avevo bisogno di fuggire. Lì, scesa nella grotta di San Michele, mi inginocchiai. C’era esposto il Santissimo. Piani e piansi e piansi ancora. Poi decisi di andare a confessarmi: avevo bisogno di parlarne. Dissi tutto, la grata mi aiutò a sentirmi libera e non giudicata. Poi una flebile voce dall’altra parte mi disse: “L’amore vero non è quello che non viene mai ferito, offeso, a volte ucciso. L’amore vero è quello che, nonostante le ferite, risorge come il sole nonostante la notte, come Cristo dopo la morte. Non è stato il Suo amore più forte del tradimento dell’uomo? Fermati ancora, prega con fede, verifica il tuo amore e chiedi a San Michele che, se non è vero ti dia la forza di cambiare strada, ma se è vero ti dia la gioia di risorgere”.

Quel confessore mi fece sentire libera, perché non mi aveva detto di amarlo per forza e basta, ma mi aveva aperto il cuore a guardare l’amore di Cristo e su quello valutare la verità del mio amore.
Tornai a casa, furono giorni duri. Poi decidemmo di parlarne io e tuo padre. Fu il giorno più difficile e più bello della mia vita. Ci guardammo soltanto, perché poi le lacrime presero il posto delle parole. Capimmo che il nostro amore era vero. Era il 29 settembre, San Michele. Per questo chiamammo il nostro primo figlio Michele. E da allora ogni giorno passo almeno un attimo dalla chiesa, guardo il tabernacolo, piango perché so cos’è l’amore vero, so che il nostro è amore vero, so che un 29 settembre è stato il giorno in cui abbiamo scoperto di amarci davvero».

don Giuseppe Germinario, direttore